[Fanzine] Da pari a pari – Contro l’autoritarismo identitario [IT]

DA PARI A PARI Contro l’autoritarismo identitario

fonte originale: https://ilrovescio.info/2025/07/01/da-pari-a-pari-contro-lautoritarismo-identitario/

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DA PARI A PARI

Contro l’autoritarismo identitario

Siamo alcuni compagni e compagne anarchici che hanno preso parte all’assemblea “Sabotiamo la guerra”. Con questo scritto vogliamo prendere parola su una brutta vicenda capitata alla nostra assemblea (non la sola di questo tipo, ma la più grave), ma soprattutto su una forma mentis e un’ideologia che rendono ormai sistematici episodi di questo genere. Se ci presentiamo in maniera tanto circoscritta è perché “Sabotiamo la guerra” è appunto un’assemblea, fatta di volta in volta da chi vi partecipa, e non possiamo parlare a nome di tutti i suoi numerosi partecipanti, passati, presenti e futuri. Fatta questa premessa, cominciamo a spiegarci.

Gli scorsi 11, 12 e 13 ottobre 2024, presso la Villa Occupata di Milano, avrebbe dovuto svolgersi la “tre giorni” di discussione Sfidare la vertigine, organizzata dalla nostra assemblea e dedicata appunto ad alcune delle questioni vertiginose ma ineludibili che ci pone questo presente (a partire da quelle legate alla guerra, che ne costituisce né più né meno che l’orizzonte storico). La “tre giorni” è stata rinviata sine die, e di fatto annullata, per l’opposizione di alcuni (sottolineiamo: alcuni) frequentatori della Villa, i quali accusano di stupro un compagno che partecipa a questo percorso, e l’assemblea stessa di supportarlo. Sarebbe stato più semplice e conveniente, da parte nostra, ignorare questo episodio e tirare avanti, come d’altronde abbiamo fatto in altre occasioni, quando ci sono stati simili tentativi di far saltare nostre iniziative per via della presenza di questo compagno all’interno del nostro percorso. Le nostre coscienze ci hanno invece detto di esprimerci. Essendo a conoscenza delle dinamiche che hanno portato a generare questa grave accusa, e avendo buoni motivi per considerarla infondata, ci sembra una vera e propria ingiustizia che queste voci continuino a circolare senza che nessuno dica niente. Un’ingiustizia verso il nostro compagno e poi verso la nostra assemblea. Ragionandone insieme, ci siamo resi conto che era impossibile affrontare il problema senza entrare nel merito dei presupposti ideologici, etici e di mentalità alla base di questo episodio, mentre farlo è un’esigenza che già sentivamo a prescindere. Se quella contro il compagno è infatti un’accusa molto grave, non si tratta, purtroppo, di un episodio isolato: è diventato ormai prassi corrente – negli ambienti “antagonisti” come in vasti settori della società – accusare questo o quell’individuo, questo o quel gruppo di colpe infamanti (di volta in volta legate alla sfera sessuale, ai rapporti tra i generi o persino a generiche “dinamiche di potere”) senza farsi carico di fornire motivazioni, né dare a nessuno – si tratti del diretto interessato o di altri – la possibilità di discutere la consistenza delle accuse mosse, o ancora di valutare autonomamente come affrontarle qualora si rivelino fondate. Oltre a questo, ci pare che una certa mentalità e una certa ideologia (che qui chiameremo “identitaria” per motivi che si chiariranno leggendo) stia producendo da anni una serie di dinamiche che vanno ben oltre la sfera della sessualità e dei rapporti interpersonali e che, almeno da parte nostra, abbiamo aspettato fin troppo tempo per tentarne una critica (tuttavia, meglio tardi che mai). Da queste riflessioni è nato questo scritto, che vuole essere un atto di denuncia e un contributo al dibattito che va molto al di là della vicenda da cui è scaturito. Se questo tipo di problemi sta lacerando sempre più mondi, portando nei nostri anche a forme di desolidarizzazione verso intere realtà pesantemente colpite dalla repressione, le ideologie che ne stanno alla base hanno, a nostro parere, anche conseguenze più profonde, e profondamente nefaste. Da qui l’esigenza di guardare tutto questo anche in prospettiva.

Sull’accusa in sé non intendiamo entrare in questa sede. Certi fatti, come si suol dire “delicati” (e anche potenzialmente sensibili da un punto di vista penale) devono essere trattati in spazi e momenti opportuni, quantomeno per non fornire a sbirri e pennivendoli materiale su cui speculare. Ci limitiamo a dire che se considerassimo il nostro compagno uno stupratore non ci organizzeremmo con lui. È inoltre sottinteso – ma è il caso di esplicitarlo – che sia noi come estensori di questo scritto, sia il compagno direttamente accusato, siamo ben disposti a confrontarci faccia a faccia con chiunque ce lo richieda. Abbiamo invece molto da dire sulle modalità con cui simili accuse vengono sempre più spesso mosse, sulla mentalità che le sottende e sulle conseguenze che determinano.

Posto che anche per noi, quando una persona denuncia di aver subito delle violenze, bisogna mettersi in ascolto, questo non può diventare un alibi per non discutere i fatti per quello che sono (o, più modestamente, per come appaiono a noi poveri mortali), né per apporre marchi di infamia su chicchessia senza neanche dargli la possibilità di replicare. Continuiamo testardamente a pensare che chi muove accuse pesanti contro qualcuno – si tratti di aver compiuto una violenza sessuale, di aver rubato soldi da una cassa comune o di essere un delatore – dovrebbe farsi carico di quello che dice, sostenendolo con argomentazioni chiare e circostanziate, e all’interno di spazi e momenti opportuni. Che anche stavolta questo momento di confronto sia mancato ci pare, con tutta evidenza, prodotto di una mentalità che ha sostituito la condizione al fatto, e il vittimismo al pensiero. Siccome il problema non è banale, ci tocca prenderlo un po’ alla larga.

Attraverso la mediazione di quello che possiamo definire femminismo intersezionale, è arrivata da Oltreoceano un’ideologia che recita più o meno così: pensarsi come esseri umani liberi ed eguali, che in quanto tali tentano di sperimentare qui e ora, per quanto è possibile, rapporti di reciprocità (“ciò che puoi fare tu, lo posso fare anch’io, e viceversa”) non è altro che una vecchia fiaba umanistica. Siccome in quella guerra permanente che chiamiamo società noi siamo in realtà diseguali – attraversati, spesso senza rendercene conto, da dinamiche di sopraffazione che ruotano attorno alla linea del genere, del colore, dell’abilità fisica o intellettuale, dell’età ecc. – bisogna essere svegli e vigili (woke, espressione slang americana per “awake”), cogliendo tutte quelle violenze che sono costantemente invisibilizzate e intervenendo nelle relazioni umane per ristabilire l’equilibrio perduto. Da una parte esercitando una moralizzazione permanente dei comportamenti (a partire dalla nota ossessione per il linguaggio), specie se «agìti» da chi ha (o avrebbe) un qualche «privilegio», ovvero una quota di potere sociale in più; dall’altro dando più potere a chi ne avrebbe socialmente di meno. (È con questi “criteri” che ormai diversi anni fa, negli Stati Uniti, alcune femministe proposero di far valere doppio il voto delle donne e degli afroamericani.) Lo sfondo e – insieme – il corollario di questo tipo di visione, è la filosofia postmodernista. Se la verità fattuale non esiste o comunque non è rinvenibile, l’unico “criterio” per orientarsi e decidere in merito ai fatti, che pure non smettono di accadere, diventa l’adesione emo-partigiana al punto di vista di chi è ritenuto più «oppresso». Alla veridicità del fatto si sostituisce l’appartenenza a un determinato soggetto.

Se sarebbe lungo produrre una critica complessiva di questa ideologia, e non possiamo certo farlo in questa sede, una sua prima conseguenza è chiara: la balcanizzazione all’infinito dell’umanità. Se non c’è la possibilità di discutere tra eguali, perché diseguali sono le nostre esperienze e quindi i nostri punti di vista, il risultato non può che essere la guerra di tutti contro tutti, costellata da alleanze più o meno precarie. Con un corollario: siccome nell’universo postmoderno non esistono più valori ma un solo disvalore – affermare qualcosa con una qualche presunzione di certezza – a vincere il confronto non è chi porta l’argomentazione più convincente o fatti incontrovertibili, ma chi sa esibire meglio la propria condizione identitaria di “vittima”, ed ha abbastanza letteratura accademica (i cosiddetti «studies») alle spalle per essere considerato tale.

Se a taluni questa ideologia sembrerà ultra-libertaria, a noi pare portatrice di un autoritarismo tanto più pericoloso quanto più si nasconde dietro la propria presunta debolezza postmoderna. Se è infatti evidente che queste posizioni troncano ogni possibilità di reciprocità tra gli individui concreti (ciò che puoi fare tu posso farlo anch’io, quindi la mia parola vale quanto la tua), fanno anche rientrare dalla porta di servizio quella ideologia del soggetto che l’anarchismo aveva da tempo cacciato dalla porta principale. Prevedendo che «la religione dell’umanità» avrebbe presto generato i suoi sacerdoti e i suoi burocrati, nel lontano 1844 Stirner scriveva di schierarsi dalla parte dei proletari, ma si rifiutava di «sacralizzarne le mani callose». Fuor di metafora, Stirner afferma che se la condizione di oppressione patita dai proletari va riconosciuta, bisognerebbe evitare come la peste di pensare che il proletariato ha sempre ragione, per il semplice fatto che, come «soggetto», il proletariato… non esiste (esistono solo individui concreti che, tra le altre cose, sono dei proletari), e quindi non può avere né ragione né torto. Al passo con i tempi, bisognerebbe dire la stessa cosa delle donne e dei neri, delle persone omosessuali, degli immigrati e dei transgender. Se riconosciamo la diversa oppressione specifica patita dagli individui appartenenti a queste categorie, la combattiamo solo dove la ravvisiamo concretamente, senza mai rinunciare al nostro giudizio autonomo e senza dare nessuna delega in bianco a chi si iscrive a questa o quella parte di umanità perseguitata. Non solo perché teniamo alla nostra libertà come a quella di chiunque altro, e quindi non daremmo neanche all’individuo più vessato e umiliato del mondo quella che è di fatto una delega di potere; ma perché sappiamo bene che, quando si stabilisce che qualcuno, per una qualsiasi ragione, deve contare più di un altro, ad avvantaggiarsene non sono “gli oppressi”, ma i loro autonominati rappresentanti. Per farci intendere, ci tocca entrare nella parte più scomoda della questione. Quando, nelle nostre piccole collettività, vengono sollevate accuse più o meno fondate di abusi sessuali o di genere, a chi ha qualcosa da ridire viene dogmaticamente ribadito che «bisogna ascoltare le compagne». Ora, già di per sé questa affermazione contiene un’accusa implicita e non per forza giustificata (magari uno ascolta eccome «le compagne», ma non è d’accordo con quanto viene detto); ma soprattutto: ad essere considerate sono davvero tutte le compagne e le donne? Per la nostra esperienza, la risposta è no. Vengono considerate solo quelle compagne e quei compagni (uomini) allineati a posizioni già definite, ovvero ai dogmi della nuova sinistra globale. Tutte le altre donne vengono ignorate, quando non stigmatizzate come complici del loro «patriarcato interiorizzato». A ben vedere, in questa nuova arte d’ottenere ragione, ciò che fa la differenza non è tanto l’appartenenza concreta a una categoria offesa, ma l’adesione all’ideologia che le santifica. A pretendere “ascolto” (ovvero, in realtà, un allineamento rigido e schematico) è la nuova Chiesa sensibilista e politicamente corretta… altro che «le compagne», i «non-bianchi» o i «corpi non normati»!

Ovviamente siamo consapevoli che la violenza sessuale, nelle sue varie forme, non corrisponde sempre e solo all’immaginario comune della mera aggressione fisica; che violenze piccole e grandi esistono anche nei nostri ambienti; che le donne (ma si potrebbe allargare lo spettro a molte altre categorie oppresse) hanno trovato e trovano spesso grandi difficoltà, resistenze e boicottaggi quando le denunciano; mentre siamo favorevoli all’affrontamento collettivo di abusi e violenze e, se necessario, anche ad applicare coralmente delle sanzioni verso chi li ha commessi. Ci sembra legittimo, ad esempio, che una collettività allontani qualcuno da un determinato spazio, o persino da un intero territorio, qualora la sua presenza lo renda infrequentabile da una persona seriamente offesa; oppure che un collettivo rifiuti di organizzarsi (per un determinato periodo, fino a un chiarimento risolutore o anche per sempre) con chi, con i suoi comportamenti, ha incrinato o perso la fiducia dei suoi compagni e delle sue compagne. Ciò che pretendiamo, però, è che tutte e tutti abbiano la stessa facoltà di parola in merito; che le accuse vengano messe alla prova dei fatti, nei limiti in cui una data situazione lo permette (sarebbe atroce, ad esempio, pretendere che chi ha subìto violenza la rievochi per filo e per segno; ma tra questo e una delega di fiducia in bianco si possono trovare praticamente sempre altre possibilità); e che all’accusato sia data la possibilità di difendersi anche negando il fatto, qualora pensi e sostenga di non averlo commesso. Se queste semplici istanze, riconosciute dall’umanità di ogni tempo, e a suo tempo strappate con le lotte allo Stato assoluto, possono avere un po’ l’apparenza del “diritto borghese”, si rifletta sul fatto che i criteri opposti ci riportano né più né meno che al diritto inquisitorio, in cui la sola via al proscioglimento era l’ammissione di colpa (oggi, al passo coi tempi, «di responsabilità»). Si dirà che fatti di questo tipo sono particolarmente difficili da dirimere, perché – oltre a chiamare in causa dinamiche interpersonali sottili – avvengono solitamente in àmbiti privati e intimi, dove nessun altro vede. Questo è verissimo. Ma a pensarci bene la stragrande maggioranza dei fatti umani che danno da discutere avvengono al riparo degli sguardi altrui, o sotto pochi sguardi che facilmente si contraddicono tra loro, avendo magari colto solo indizi riguardo la consumazione di un gesto (pensiamo ad esempio a una situazione in cui sono spariti dei soldi, e nelle vicinanze è stata vista solo una certa persona: qualcuno dice di averla vista a una certa ora o in un certo atteggiamento, un altro in un altro, ma nessuno l’ha vista rubare); i gesti scabrosi che avvengono su una pubblica piazza, o davanti a dieci testimoni che affermano più o meno lo stesso, sono, da che mondo è mondo, una minoranza, e si attirano immediatamente la riprovazione generale. Con che criteri, quindi, in situazioni incerte, si decide se qualcuno ha commesso o non ha commesso qualcosa? In genere, ci si basa sulla verosimiglianza, ovvero sulla comparazione delle dinamiche del fatto con altre analoghe vissute, viste, ascoltate in altri momenti e situazioni (in una parola: sull’esperienza pregressa); il che, in presenza di versioni discordanti, è possibile solo ascoltando e comparando più campane. Si può sbagliare, applicando questo criterio? Certamente, e lo si fa dalla notte dei tempi. Ma ascoltare una campana soltanto, acriticamente e per partito preso, non può che dare ad alcune persone il privilegio (questo sì reale) di mentire, poiché le sgrava dall’onere di fare affermazioni credibili. Qualsiasi cosa, anche molto sensata, si possa obiettare a ciò (per esempio che le differenze di «socializzazione» e vissuto tra uomini e donne non permettono di cogliere appieno certe sfumature), non elimina quella che rimane una conseguenza inaggirabile (a meno che non si sostenga che gli appartenenti a categorie oppresse non possano nutrire secondi fini, e raccontare e finanche raccontarsi frottole – un rischio particolarmente alto in quest’epoca di soggettivismo quasi psichedelico).

Oltre a ciò, sarà mai possibile che, anche nel caso di fatti accertati, venga applicata in maniera pressoché automatica la medesima modalità (l’allontanamento della persona, e la terra bruciata intorno a chi continua a organizzarvisi assieme), senza che si valuti né la gravità specifica del fatto né forme di riparazione possibili, e magari commisurate?

No, questo è reso impossibile. Perché agli attivisti identitari non interessa affatto trovare modi migliori di convivenza tra le persone, ma solo purificare il mondo da tutto ciò che non è loro gradito. Non c’è da stupirsi che, da un po’ di tempo a questa parte, certuni stiano passando dal tentativo di cancellare determinati individui alla cancel culture delle idee e di ciò che più le veicola: i libri. C’è infatti chi ha dato vita a vere e proprie campagne contro case editrici, edizioni e distribuzioni variamente “di movimento” (sia perché curate da persone accusate di abusi, sia perché ree di pubblicare testi considerati «problematici») e a liste di proscrizione contro autori e autrici considerati di volta in volta transfobici, omofobi, sessisti sulla base dell’interpretazione distorta dei loro testi, della partecipazione a iniziative organizzate da altri “incriminati” o persino per la semplice recensione di testi altrui; mentre sappiamo di qualche compagno mai accusato di alcuna violenza, ma che viene diffidato dal presentarsi in determinati contesti per le sue posizioni critiche verso il movimento LGBTQ +, che gli meriterebbero l’accusa di «transfobia». Mentre ci domandiamo con sconcerto da quando in qua gli anarchici si occupano di difendere i riformisti, questa posizione è semplicemente allucinante per disonestà politica e intellettuale. Quello LGBTQ + è per l’appunto un movimento politico che, per quanto giochi a rappresentare tutte le persone omosessuali e transgender, non rappresenta in realtà altro che se stesso. Dire che chi critica l’autoritarismo di alcune frange queer è omofobo o transfobico, è come dire che chi critica Black Lives Matter è per ciò stesso un razzista. Nient’altro, appunto, che politica nel senso peggiore del termine.

Ci dispiace, ma dietro a tanto (e crescente) furore accusatorio e persecutorio, che sta rovinando la vita a sempre più compagni sulla base di accuse sempre più “ardite” e fantasiose, non riusciamo a vedere solo una sincera volontà di opporsi a sessismo e prepotenze, o di accogliere istanze taciute per troppo tempo. Ci vediamo anche un’assunzione di quella cultura della pena che in altri àmbiti si chiama giustizialismo: punire il malcapitato di turno (che sia effettivamente “colpevole” o “innocente”) per dare l’esempio a tutti gli altri. Ci vediamo anche una smania di potere e controllo. Ma soprattutto ci vediamo, più in generale, un veleno autoritario e reazionario che dalle università statunitensi e altri laboratori del potere è penetrato piano piano nell’anarchismo, e che rischia seriamente di estinguerlo dall’interno (mentre la repressione continua a picchiare duro dall’esterno), rovesciandone i princìpi mentre pretende di radicalizzarli. Se c’è un concetto condiviso da tutti gli anarchici, è che l’autorità non limita la tendenza degli umani a sopraffarsi l’un l’altro, ma la aggrava e la rende più strutturale. Ciò detto, l’abolizione dell’autorità e quindi la libertà non è la panacea che libererà l’umanità oppressa da tutti i mali, ma «la via aperta a ogni miglioramento» (Malatesta): un punto di svolta e di inizio, ma proprio per questo necessario. Per quanto si dia arie libertarie e ultra-radicali, la sinistra postmodernista e identitaria ragiona in maniera esattamente contraria. Non si dà alcuna via d’uscita dalla miseria presente, ma solo un’eterna lotta tra soggettività (che si sentono) oppresse all’interno d’una rete di micro-poteri ramificata e onnipresente, che può trovare un po’ di quiete solo in una sorta di reciprocità negativa: anziché un principio che proclama: “faccio ciò che voglio nella misura in cui tu puoi fare ciò che vuoi”, un credo che recita più o meno: “non farò ciò che voglio a patto che tu non faccia ciò che vuoi”. In breve, una serie infinita di divieti. Lo si vede molto bene in certe università occupate dalle giovani generazioni, dove sui muri, al posto dei volantini incendiari, si trovano sempre più spesso intimazioni a non fare questo o quest’altro, insieme alle indicazioni per raggiungere il care team qualora non ci si senta abbastanza safe. Un modello sostanzialmente hobbesiano: se gli individui, divenuti lupi dopo secoli di «etero-patriarcato bianco», sprofondano nella guerra di tutti contro tutti, allora è necessario inventare degli artifici per tenerli a freno: l’eterna giustificazione della polizia. Se poi gli anarchici hanno sempre sostenuto la necessità di distruggere la società presente per permettere l’evoluzione degli individui, ma liberandoli così come sono, la sinistra identitaria pretende di cambiare la società cambiandone i costumi, con la pretesa di procedere dal singolo ai rapporti sociali anziché viceversa. Pura merda reazionaria, degna dei Padri della Chiesa o della Ginevra calvinista del Cinquecento.

Venendo meno il principio di reciprocità, vengono meno le basi stesse dell’autorganizzazione di classe, e la lotta di classe medesima. Da questo punto di vista, è significativo che tra i vari «privilegi» snocciolati dagli identitari non venga mai citata l’istruzione, che pure traccia un solco profondissimo tra le classi, e non solo in termini di accesso al lavoro. Anni fa una compagna, reduce da molti anni di carcere, ci raccontava di quanto in prigione facesse la differenza essere stati o meno “istruiti”, tanto per la conoscenza dei propri “diritti” legali quanto nella capacità di farsi valere davanti alle autorità. Se si considera la loro provenienza universitaria, e l’adozione dei loro precetti da parte di persone che frequentano o hanno frequentato l’università, può davvero apparire casuale questa assenza in mezzo a studies dedicati a ogni tipo di condizione e vessazione? (Con questo, speriamo di non dare involontariamente il suggerimento ad aprire un nuovo filone persecutorio, o spingere qualcuno ad abbandonare francescanamente gli studi: i mezzi culturali servono eccome! e, al pari di altri mezzi, non andrebbero aboliti, ma messi a disposizione delle lotte e della nostra classe). Se infatti certe ideologie, penetrando negli àmbiti “di movimento”, finiscono per raggiungere anche giovani più o meno proletari, esse vengono tipicamente promosse e assunte dalla classe media e in particolare dalla sua variante cognitiva, quella che non vuole cambiare il mondo ma renderlo più civile: da questo l’elusione del problema dell’istruzione, cui spesso si accompagna il disprezzo verso quel proletariato (in specie bianco e quindi grottescamente considerato «privilegiato») che non sa o non vuole assumere il linguaggio e le categorie del “cognitariato” di sinistra, laddove quest’ultimo si percepisce e si presenta come autentico modello del cittadino globale come si deve. Se questa sostanziale indifferenza in materia di classe dovrebbe suggerirci quanto i teorici identitari abbiano davvero a cuore le dannate e i dannati della terra, non fa meraviglia come costoro non si accorgano (ma davvero non se ne accorgono?) di quanto la loro ideologia finisca da un lato per minare le possibilità stesse di organizzarsi tra sfruttati, e dall’altro per rafforzare il securitarismo padronale. Come ci si può organizzare insieme, quando si adotta una visione schizofrenica che considera i propri compagni insieme dei complici e dei nemici (nemmeno tanto) potenziali, segnati dal peccato originale dei propri «privilegi» più o meno di nascita? Quando le qualità personali – l’impegno, la schiettezza, l’affidabilità, il coraggio nelle sue varie forme, la capacità di ragionare e argomentare, la coerenza con quanto si proclama – vengono squalificate a meri mezzi di sopraffazione? Quando non si può prendere alcuna decisione comune senza che venga evocato il fantasma della «sovradeterminazione»? Se si smette di considerare l’uguaglianza un concetto-limite (lo spazio che permette l’espressione delle differenze, e in cui emergono per forza anche alcune disuguaglianze), il risultato non può che essere la paralisi, e una miseria generalizzata in cui le differenze, ovvero ciò che fa la ricchezza di qualsivoglia collettività, vengono annientate in nome di un egualitarismo astratto e disciplinante (mentre a spadroneggiare sono, orwellianamente, quanti pretendono di essere «più uguali degli altri»).

Certamente anche il “classismo”, a suo modo, è identitario; ma si tratta di un modo profondamente diverso dai vari identitarismi di genere, “razza” e quant’altro, e che apre tutt’altre possibilità. Senza disconoscere che anche la linea del genere e quella del colore hanno un peso nell’articolazione dei rapporti di potere, oppressione e sfruttamento (e nell’economia complessiva dell’attuale dominio capitalistico), solo la linea della classe apre a una liberazione universale, creando quella rottura verticale in cui le liberazioni delle donne, degli omosessuali e transessuali, delle minoranze (post)coloniali “interne” ed “esterne” ecc. si possano realizzare senza snaturarsi in nuove configurazioni di potere e del dominio. Essere sfruttati e sfruttate, infatti, ha almeno due aspetti differenti dall’essere donne, neri ecc. Il primo è che si tratta di una condizione meramente sociale, non legata a tratti fisiologici: si è sfruttati finché esiste una società basata sullo sfruttamento; con la fine del razzismo e del sessismo si smetterebbe di essere «socializzati» come uomini e donne, «razzializzati» come neri ecc., ma non si smetterebbe di essere uomini, donne, neri. Il secondo aspetto è che il sesso, il colore della pelle, l’orientamento sessuale ecc. sono caratteristiche che – salvo eccezioni, ovviamente – la gran parte degli individui non vorrebbe perdere in un processo di liberazione, ma semplicemente poter incarnare senza tutte le discriminazioni, umiliazioni e stereotipi che vi sono associati – ovvero sono caratteristiche non indesiderabili di per sé; mentre nessuno (psicosi lavoriste-stakanoviste a parte) vorrebbe restare uno sfruttato. Nella sua mera negatività, il cui sbocco ultimo è l’autosoppressione della classe sfruttata nel momento in cui questa sopprime la classe sfruttatrice, solo la linea della classe realizza un umanesimo non-astratto (nessuna equiparazione tra sfruttati e sfruttatori in nome della comune ”umanità”, ma un processo che potrà dare forma a un’umanità diversa), aprendo lo spazio alla liberazione di tutti e di ciascuna, mentre colpisce laddove il sistema può al massimo arretrare, ma non ricrearsi come sistema di sfruttamento: un capitalismo senza razzismo, sessismo e persino senza generi e differenze “razziali”, potrebbe, almeno in astratto, esistere; una società di classe senza classi, no. Transfemminismo, “teoria critica della razza” ecc. tendono ad applicare l’antagonismo pressoché assoluto del classismo, possibile perché basato su alterità meramente sociali, ad alterità incarnate negli esseri (in linguaggio filosofico: ontologiche) e/o di cui gli individui concreti non vogliono (e non dovrebbero) per forza disfarsi. Il risultato è quasi sempre un pasticcio in cui affiora un certo razzismo di ritorno, laddove certi individui (maschi, e poi a cascata etero, bianchi, “abili” ecc.) patiscono una squalifica di fondo per ciò che sono e non per ciò che fanno, e in cui le stesse persone vengono da una parte riconosciute come oppresse e potenzialmente complici, e dall’altra, non appena subentra un contrasto, trattate come “nemici di categoria” contro cui serrare le file dei “propri”. Questo non significa che conflitti di natura diversa da quello di classe non esistano o non abbiano mai ragione di essere aperti, se necessario anche con durezza (lo ribadiamo: non sacralizziamo le mani callose): ciò su cui ammoniamo è il modo di considerarli e trattarli, che dovrebbe avere le sue caratteristiche specifiche. Se non si è capaci di operare queste distinzioni, le conseguenze sono catastrofiche. Di fronte a una vertenza in una fabbrica o in un magazzino, noi stiamo sempre dalla parte degli operai, e poco ci importa di chi dice il “vero” (possiamo pure dirci tra noi che gli operai stanno dicendo cazzate, ma questa rimane una questione inter nos, che semmai discuteremo da questa parte del cancello). Possiamo dire la stessa cosa quando il conflitto si apre tra un compagno (uno sfruttato, un amico) e una compagna (una sfruttata, un’amica)? O, a cascata, tra un compagno gay (o trans, o nero) e uno etero (o cis, o bianco)? Quando un padrone o un governo fa un passo falso – che gli attira in un modo o in un altro la riprovazione pubblica – è assolutamente sensato attaccarlo, ricavandone ciò che se ne può ricavare per l’avanzamento della lotta, senza stare troppo a discettare di quanto sia effettivamente “grave” ciò che ha commesso. Si può dire la stessa cosa… ecc.?

L’applicazione meccanica di logiche tipiche della lotta di classe a conflitti d’altro genere finisce per uccidere la lotta per la liberazione. Venendo frammentato in una serie di micro-conflitti, peraltro facilmente esposti a cortocircuiti logici (chi è più oppresso tra un «non-bianco cis-etero» e una «bianca transgender»? con chi ci si schiererebbe in caso di dissidio?), il conflitto verticale (sfruttati contro sfruttatori, rivoluzionari contro Stato) viene fagocitato da un perenne conflitto orizzontale. Un paradigma che peraltro somiglia (siamo i soli a notarlo?) a una sorta di contraltare di sinistra alla guerra tra poveri fomentata negli anni dalle destre; e che, brandendo la safety al posto della security, contribuisce ai medesimi obiettivi di pacificazione sociale (diritti per tutt* e ovunque, libertà per nessuno e da nessuna parte). Il desiderio di essere protetti e garantiti nel proprio isolamento contro i propri simili, sempre più percepiti come dissimili, si sostituisce all’urgenza di liberarsi insieme a tutti gli altri.

Prima di concludere questa serie di considerazioni, ci preme chiarire un punto, onde evitare possibili (e magari furbeschi) fraintendimenti. Le critiche di cui sopra non possono essere applicate meccanicamente e in toto a tutti i gruppi di ispirazione identitaria: quelle che ci interessa è fotografare delle tendenze, ed è in questo senso che queste considerazioni vanno lette. Allo stesso modo, a differenza di altri, noi non vogliamo attribuire a tutti coloro che variamente aderiscono a ideologie e approcci identitario-postmodernisti la colpa di tutte le derive che hanno attraversato i movimenti antagonisti negli ultimi anni (dall’adesione al securitarismo sanitario-Covid all’appoggio a una inesistente “resistenza” nella guerra in Ucraina). Se il vittimismo tipico di queste ideologie ha fornito, soprattutto all’estero, un contributo più che “generoso” a queste derive (si veda il raduno internazionale di Saint-Imier nel 20231), simili sbandate sono state spesso trasversali a ideologie e aree (si sono avute, per esempio, da parte di raggruppamenti di varia tendenza marxista o libertaria che poco o nulla hanno a che fare con l’identitarismo postmoderno), mentre in Italia, soprattutto in àmbito anarchico e libertario, c’è stato un salutare smarcamento di segno opposto che ha attraversato mondi diversi, compresi alcuni ambienti queer e transfemministi. Ci fa inoltre piacere constatare, a livello internazionale – pensiamo soprattutto agli Stati Uniti – che i tentativi del potere di creare distanze dalla resistenza palestinese agitando gli spettri dell’”oscurantismo religioso” e dei presunti “stupri di Hamas” (una fake news cui pure, inizialmente, qualcuno ha abboccato e qualcun altro continua ad abboccare) sono andati in gran parte a vuoto, e che molti compagni e compagne di lotta di tendenza transfemminista, intersezionale ecc. si sono schierati anima e corpo con gli oppressi palestinesi (con tanto di benedizione da parte della papessa Judith Butler). Di fronte a queste semplici constatazioni, certe analisi troppo manichee ci sembrano inadeguate alla realtà confusa, complessa, mutevole del nostro tempo, e non le facciamo nostre. Ciò che vogliamo suggerire è qualcosa di più sottile, che ha a che fare col modo in cui agiscono le idee a livello sociale e individuale, portando gli individui anche dove non vorrebbero arrivare. Quando cominci a ragionare in un certo modo, diceva ancora Malatesta, non vai dove vuoi tu, ma dove ti porta il ragionamento. Un esempio potrà chiarire cosa intendiamo.

Non ci sembra esattamente un caso che non solo il mercato e lo spettacolo, ma persino le istituzioni e le forze dell’ordine abbiano ormai fatto proprie retoriche ispirate all’identitarismo woke, con preziosi ritorni in termini di controllo sociale (militarizzazione giustificata dalla «difesa delle donne», ergastolo automatico per i «femminicidi», ma anche interventi sempre più frequenti degli sbirri nelle scuole, contro violenze di genere, «bullismo», «abilismo» e quant’altro, cui si affiancano frotte di psicologi a caccia di insicurezze, disagi… e clienti). Che tante (trans)femministe replichino che la maggior parte degli stupri avvengono in realtà in casa e da parte di persone conosciute, o che oppongano a simili strumentalizzazioni la presenza e l’autodifesa diretta delle donne nelle strade, o la denuncia del carattere comunque «patriarcale» della polizia e finanche del «sistema» nel suo insieme, ci sembra senz’altro apprezzabile, ma anche insufficiente di fronte a una propaganda onnipervasiva che raggiunge sempre più persone (e in specie i giovanissimi) direttamente sui loro smartphone, e che spinge sempre più categorie (donne, persone omosessuali, transessuali, “colorate”, con disabilità, “neurodivergenti” ecc.) a sentirsi perennemente sotto attacco da parte di chi avrebbe qualche «privilegio» in più (o qualche problema in meno). Non molti anni fa, in Francia, degli spazi anarchici colpevoli di proclamare e praticare la loro intolleranza contro tutte le religioni sono stati attaccati con la taccia di «islamofobia»2, mentre in diversi territori degli Stati Uniti, a furia di voler fare gli interessi delle “minoranze” mettendole al riparo dalle insidie dei “privilegiati”, si sta tornando di fatto alla segregazione razziale, con scuole e classi separate per i soli neri3. Non sarebbe il caso di tentare una riflessione più profonda, prima che sia troppo tardi? Purtroppo – e qui, viceversa, ci tocca tirare in ballo la gran parte delle realtà infette dal morbo identitario – quello che viene fatto è sistematicamente il contrario: non appena qualcuno solleva questioni scomode per le loro ideologie o per qualche loro alleato, gli attivisti identitari – col silenzio-assenso dei loro amici più “moderati” – gli si gettano alla gola puntando il dito su questa o quella uscita infelice, questa o quella parola, questa o quella virgola fuori posto (spesso mescolando, alla bisogna e senza vergogna, ciò che uno scrive con calma alla propria scrivania con quel che gli esce di bocca nella foga di una discussione, o davanti a un bicchiere di vino); e così evitano di dover affrontare le questioni stesse. Quello che viene messo in campo, di fatto, è una serie di dispositivi che impediscono tanto di discutere quanto di pensare (senza possibilità di confronti, alla lunga il pensiero muore).

Ecco l’aria da Chiesa che da troppo tempo ci tocca respirare, e di cui ne abbiamo fin sopra i capelli. Ecco ciò che denunciamo, al di là dell’occasione che ha generato questa denuncia. Il problema, per noi, non è tanto che questa serie di dispositivi fattasi ideologia abbia generato, nei nostri ambienti, una grande quantità di scazzi (se non sempre inutili o infondati, quasi sempre malgestiti); ma soprattutto che, assestando colpi micidiali al pensiero critico, vi ha innescato un vero e proprio processo di degrado etico, cognitivo, spirituale. Che tipo di ambiente morale e intellettuale può prodursi, quando si smette di ragionare sui fatti lasciando campo libero a un soggettivismo sfrenato e allo stesso tempo imprigionato in categorie stagne, che arriva a propinare dogmi demenziali (demenziali come tutti i dogmi, la cui essenza è di dover essere creduti pur restando incomprensibili) come «violenza è ciò che una persona percepisce come tale» (e a «violenza» si può sostituire a piacimento «sovradeterminazione», «potere» ecc.)? L’interiorità senza esteriorità, diceva Hegel, è vuota. Senza passare dall’incontro-scontro con la realtà come suo momento di verifica, e quindi senza presupporne l’esistenza e la possibilità di indagarla, la soggettività non diventa altro che una girandola perpetua di sensazioni, emozioni, percezioni (e paranoie). Se in questa fase storica sono gli individui in generale a essere sempre più prodotti come individui senza mondo dall’ultra-soggettivismo dilagante (e dalla smaterializzazione informatica del reale); e se qualsiasi impostazione ideologica agisce come un filtro, determinando quali tipi umani tenderanno ad avvicinarsi o allontanarsi da determinati ambienti, è fatale che, laddove domina la paranoia woke, si avvicinano e si avvicineranno sempre di più ai “movimenti” proprio i tipi più inconsistenti, sconclusionati e tendenzialmente rancorosi: quelli poco propensi al ragionamento e molto propensi al lamento; quelli che non amano fare seri sforzi per identificare e combattere il Potere (quello vero), e molto amanti della lotta a buon mercato contro il “potere” diffuso ovunque… ma soprattutto vicino a loro; quelli che cercano un gruppo che si prenda cura delle loro paturnie, anziché sfidare ogni collettività e quindi arricchire quelle che si scelgono liberamente con l’originalità delle proprie tensioni e idee; quelli che non vogliono essere individui irripetibili, e quindi irriducibili a qualsiasi categoria ma, appunto, soggetti.

In questa corsa all’annichilimento della realtà e, insieme, dell’individualità pensante, in cui l’autoritarismo trova una dimora accogliente e in cui risorgono in forma nuova i ferrivecchi della reazione, un episodio come quello di Milano, e come altri occorsi alla nostra assemblea nel suo anno e mezzo di vita (ma risòltisi più felicemente), ci rattristano ma non ci stupiscono. L’autorità e l’autoritarismo rimpiccioliscono sempre gli esseri umani e imbruttiscono sempre i rapporti. Non è quindi strano che, in questa mezzanotte del secolo, tutte le porte siano spalancate ai piccoli Torquemada e agli opportunisti senza princìpi, e chiuse in faccia a chi si ostina a dire parole chiare su un presente molto più tragico che serio.

In mezzo a tanta merda reazionaria di ritorno noi andiamo avanti, con i nostri princìpi ben stretti in pugno.

Penisola italiana, primavera 2025

Cinque piccoli indiani fuori dalla riserva

1Per uno sguardo su quanto accaduto in quell’occasione si veda il testo Grosso guaio a St Imier sul blog della trasmissione radiofonica “la nave dei folli”, a questa pagina: https://lanavedeifolli.noblogs.org/files/2023/09/Grosso-a-guaio-a-St-Imier.pdf

3Cfr. Yascha Mounk, La trappola identitaria, Feltrinelli, Milano 2024

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[Fanzine] Così è anche se non vi pare – Alcune riflessioni sull’affaire Askatasunabenecomune

fonte: ricevuto alla mail di Resiste!

Torino, febbraio 2024

Così è, anche se non vi pare

Alcune riflessioni sull’affaire Askatasunabenecomune

Introduzione:

È anche questa necessità di salvaguardare in primis sé
stessi che ha portato a parer nostro a scartare qualsiasi
ipotesi di resistenza allo sgombero. Un’ipotesi ricca,
comunque, di potenzialità per quanto sfavorevoli possano
essere o sembrare i rapporti di forza. Al di là della sua
riuscita operativa e della possibilità di far concretamente
fallire lo sgombero, scegliere il terreno della resistenza
significa creare occasioni perché si sviluppino e si
sedimentino esperienze e pratiche di conflitto che non
sono direttamente legate allo difesa del posto. Destinate a
non esaurirsi con esso e che potranno quindi continuare a
mettere i bastoni tra le ruote a chi governa questa città e a
contrastare la pace sociale. Si tratta di una scommessa,
naturalmente. Certezze non ce ne sono, né ce ne
potrebbero essere d’altronde. L’unica, in negativo, è che gli
avanzi offerti dai governanti sono un frutto avvelenato. E
non potranno mai servire a nutrire, non diciamo delle
ipotesi rivoluzionarie, ma neanche minimamente
conflittuali. Potranno tutt’al più far sopravvivere, attaccata
a un sondino, un’organizzazione militante portatrice di
idee, percorsi e di un immaginario sempre più evanescenti.

La vita è altrove.

Alcuni anarchici torinesi

COSI-E-ANCHE-SE-NON-VI-PARE.PDF

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[SPYCOPS] INQUIRY: Andy Coles Primer

source: from an email sent to resiste @ squat . net

Wednesday 18th December 2024

 

SPYCOPS INQUIRY:

Andy Coles Primer

 

Andy Coles as Cambridgeshire’s Deputy Police & Crime Commissioner

From today, Wednesday 18 December, ex-spycop Andy Coles will be giving live evidence to the public inquiry into political secret policing.

Like his former boss Bob Lambert last week, Coles stands accused of serious misconduct whilst deployed, and he has important questions to answer.

Here is a summary of the issues at stake.
INTRODUCTION

Coles was deployed into peace, animal rights and environmentalist groups in and around London from Spring 1991 to February 1995.

The Undercover Policing Inquiry has already heard from a number of people targeted by Coles about how he deceived at least one woman into a long term sexual relationship, and acquired a reputation as ‘creepy’ for his repeated, unwanted sexual advances to women.

Witnesses told the Unquiry that Coles, in his undercover role as ‘Andy Davey’, set up his own Animal Liberation Front ‘cell’ and organised a raid to on a battery chicken farm.

Like many Special Demonstration Squad officers, he is known to have been arrested in a false name, and lied to the courts.
Andy Coles in 1991

Andy Coles while underover in 1991

In February 1995, just as his undercover deployment was ending, Coles put pen to paper and authored the Special Demonstration Squad’s Tradecraft Manual, setting out many of these abhorrent practices for future undercover officers to follow.

Like many of the most appalling officers investigated by this inquiry, he was promoted and went on to train and manage police officers, before going into politics.

The truth about Coles’ past was uncovered in May 2017, when his more famous brother, the Reverend Richard Coles, accidentally outed him by describing his brother’s undercover work in his autobiography Fathomless Riches.

Following media exposure, Coles immediately resigned as Deputy Police and Crime Commissioner for Cambridgeshire. However, he refused to resign his roles as a Conservative city councillor for Peterborough and as a school governor, and he remained in that public office until he was voted out in 2024.

He is still President of Peterborough Conservatives.
CREEPY LETCH

On Thursday 12 December we heard harrowing evidence from ‘Jessica’ of how she met Andy Coles as a vulnerable and young-for-her-age 19-year-old.

She described how he would just come round to the house she shared with friends inconveniently late at night, and just sit around. She recalled discussion among the housemates: who invited him? And it turned out nobody did. Then one day he just kissed her, completely out of the blue. They were alone, watching TV:

‘he said something which made me turn to him and then he just lunged straight at me and kissed me… It was so awkward. Had he said something at any point, I would have been able to say I don’t think about you like that, but it was the shock and just the unexpectedness of it…

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[Fanzine] Eresia

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[ANTS] New project of Simultaneous Interpretation Services, for Social Movements [ENG]

source: from an email received at resiste @ squat . net, update 22/12/2024

ANTS - AlterNative Technology Systems

ANTS – AlterNative Technology Systems

We are very happy and proud to be contacted by The ANTS Project, so we publish and advertise in this post, the new interesting project born in Turin (North-West of Italy) around summer 2023 that provides a wide range of services for Simultaneous Interpretation in the area of Social Movements: Simultaneous Interpretation Technologies, Interpreters Coordination, Conference Sound Systems, Event Logistics, Events Organization Counseling and the list continue with a very wide variety of services, both on the topic of Simultaneous Interpretation, but also around other matters.

The name of this new powerful, well-needed and already full of events-covering requests project is:

ANTS – AlterNative Technology Systems

ANTS Project Manager has a long history and experience in the field, as he was one of the 4 founders of the pioneer project on the matter of Simultaneous Interpretation Technology for Social Movements, founded in Barcelona (Cataluña, Spain) back in 2009, President for almost 15 years (2010-2024) of the Non-Profit Association that was the legal frame of the old project.

You can find all the info about The ANTS Project at their webpage:

https://ants.pimienta.org/

We got to know that they recently bought a new domain, so they’re in the process of moving the old website, giving it a new face, at the address:

https://www.ants-interpretation.org/

If you’re in need of Simultaneous Interpretation for any kind of multi-language event – but also ANY kind of event – now you know where to look at 🙂

Resiste!
22/12/2024

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Pedrinyá (Catalunya): AGRO-CRUST XII – 11 Mayo 2024 [CAS,CAT,ENG]

AGRO-CRUST XII  11 DE MAYO 2024
FESTIVAL D.I.Y. EN KAN SEITAN (PEDRINYÁ/CRESPIÁ)

Aupa compas & amigxs!
Como en los últimos años el Agro-Crust se ha reducido a
solamente un día/una noche de actividades. Todxs somos
conscientes que las capacidades del movimiento anarquista
han bajado durante este tiempo en estos territorios bastante.
El impacto de la tecnocracia y de la plandemia entre otras
causas han provocado muchos problemas (climáticos,
económicos y sociales e.t.c.). Los estados capitalistas optan
por guerras y represión para salvar a su sistema podrido.
Las consecuencias de todo esto son catastróficas,
especialmente en las zonas pobres del planeta, pero no
exclusivamente. Las sequías provocadas principalmente por
la agricultura y ganadería industrial, la deforestación y
destrucción de ecosistemas también tienen sus impactos
en los territorios de los estados del ‘primer mundo’.
La fuerza de las luchas y resistencias de cada rincón del
planeta dependen de muchos factores que tienen que ser
analizados localmente para que sean eficaces en todos
los sentidos.
El Agro-Crust siempre ha sido una oportunidad para lxs
anarquistas de debatir, intercambiar, experimentar e
expresar de formas distintas sus pensamientos, criticas
e experiencias. Seguiremos adelante en aquel camino
siempre hacía la libertad para todxs, en apoyo a las luchas
para la liberación total en contra toda autoridad y dominación
y por la destrucción de todas sus jaulas, muros y barrotes!

Estais invitadxs todxs a participar en el evento de Kan Seitan!
Autogestión rural y salvaje! Hazlo Tu Mismx!
Para cualquier propuesta, duda o pregunta, podreis escribir al
correo electronico:

liberacionomuerte@yahoo.com

Salud & Anarquía

LIBERTAD A TODXS LXS COMPAS PRESXS Y FUGITIVXS!
_____________________________________________
PD: Enviamos este flyer de las bandas confirmadas:
KONCIERTOS: Sabado 11 Mayo a las 20h

DEMOFOBIA (Hardcore-Punk Reus)
K.O.MAKABRA (Hardcore-Punk Reus)
DELICIA BILIS (Hardcore Barna)
ZIRT-ZART (Hardcore-Punk Gipuzkoa/EH)
STORB (Hardcore-Punk Sta.Koloma dF)
KOMEMELKOÑO (Punk-Rock Barna)

Gracias por la difusión (no colgar en redes sociales porfa!).
En breve el cartel definitivo con todas las actividades.

[CAT][ENG]

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[Resiste!] Torino: 25 Aprile e 1 Maggio ai Giardini Reali, distro Resiste! (benefit ANTS) + distro ROT [ITA]

Confermiamo la partecipazione all’evento del 25 Aprile e 1 Maggio 2024, benefit inguaiati con la legge e Radio Blackout, ai Giardini Reali di Torino (o al Parco Dora in caso di pioggia).

 

Saranno presenti numerosi banchetti e distro, tra cui la Distro di Resiste! e di ROT, con Serigrafia DIY, Musica autoprodotta, e poi oli, saponi, shampo, cosmetici, prodotti naturali, funghi medicinali, aceto autoprodotto, cibo BIO DIY, e molto altro!

 

La distro di Resiste! andrá in parte benefit per il nuovo progetto di Tecnologia di Interpretazione Simultanea per Movimenti Sociali ANTS – AlterNative Technology Systems (nato a Torino nel 2023 dall’esperienza ormai quindicennale di uno dei fondatori di COATI), che metterá a disposizione una parte dell’impianto luci per i banchetti di autoproduzione alimentato con pannelli solari.

Per piú info visita il sito di ANTS:

ANTS
AlterNative Technology Systems

Resiste! + ROT @ Giardini Reali Torino 25 aprile

Vieni a scoprire tutte le nostre autoproduzioni !

DIY OR DIE !

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Torino: [Tinozza Party] Venerdí 28 luglio 2023 @ Barocchio Squat [ITA]

Tinozza Party
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fonte: https://barocchio.squat.net/2023/07/16/tinozza-party-venerdi-28-luglio-2023-barocchio-squat/

Ritorna la mitica Tinozza Party al Barocchio Squat !

Come tutte le estati, la festa idrofila del Barocchio squat vi fará rilassare e bagnare moltissimo in vista dei viaggi estivi (per chi se li puó permettere :/ )

La serata sará Bellavita! …come tutte le iniziative che si svolgono al Barocchio Squat. Porta le tue bevande preferite, cocktails e ingredienti vari: per l’occasione, riapre anche lo storico Bar Bellavita, dove troverai pestelli e frullatore, arance e limoni, lime e menta….e insomma tutto quello che ci vorrai portare da condividere.
Of course -> Tonnellate di ghiaccio e quant’altro per far si che la serata sia indimenticabile !

Vieni e partecipa attivamente alla festa piú caliente dell’estate: ci saranno i Dj nella gabbia sferica di metallo, i Visual migliori, uno sfondo di sabbia, una piscina giga e tante vasche idromassaggio 😉

Quindi, porta maschere e pinne, tubi e canne da pesca, ombrelloni e ciabatte.
Il costume lo puoi lasciare a casa, assieme al cane e alle attitudini di merda.

E ti assicuriamo che sará una festa che non ti scorderai per un bel pó !

Insomma, un appuntamento da non perdere !

Barocchio Squat Garden
Torino west coast
Luglio 2023
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https://barocchio.squat.net/
barocchio @ squat . net

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[AgroCrust] Cataluña: AgroCrust XI – 10/06/2023 [CAS-ENG-CAT]

        Aupa amigxs & compas!

Disculpad la tardanza pero al final todo pa delante
con la 11ª edición del Agro-Crust el próximo
Sabado 10 de Junio 2023 en Kan Seitan.

Este año otra vez será solamente un día ya que
la organización y comunicación sin el uso de las
‘redes sociales’ cada vez se complica más.

Pero seguimos nuestro camino sin importar lo que
nos perdemos de sus trampas materialistas en las
que caen demasiadas personas.

Pues sin más palabrería, aquí está el cartel para
su máxima difusión. Estais invitadxs todxs a
participar activamente y a disfrutar del encuentro.
Libertad a todxs lxs presxs!
Fuego a las jaulas, por la liberación total.

Hasta la vista!
Salud & Anarquía

PD: Si necesitais más info, ubicación exacta o
quereis proponer una actividad espontanea
etc. podreis poneros en contacto via email:

liberacionomuerte@yahoo.com

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Torino: Perquisizione e sequestro al CSOA Askatasuna, comunicato di solidarietá da Smash Repression [ITA]

❗️ASKATASUNA NELLA MORSA REPRESSIVA❗️

❗️Stamattina a Torino, il CSOA Askatasuna è stato scenario di un forte atto repressivo:

sin dalle prime ore del mattino, è stato disposto un enorme apparato di forze dell’ordine per effettuare un maxisequestro nei confronti del centro sociale, colpevole di aver organizzato un concerto non autorizzato il 15 Ottobre, nelle strade della città.

❗️Tra i vari materiali, sono stati sequestrati attrezzature audio, mixer, luci e frigoriferi utilizzati per eventi benefit – con compagnǝ accusatǝ di associazione a delinquere, semplicemente perché vivono le strade, lottando per un mondo diverso.

❗️Questa è solo la punta di un iceberg di un piano repressivo, partito ben prima di questo governo, che però con la legge anti-rave chiude ancor
di più la morsa sui movimenti di lotta sociali e musicali partiti dal basso, che punta a demolire tutto ciò che non appartiene al divertimento capitalistico e che non è asservito alle logiche di mercato.

❗️Crediamo fermamente che la lotta non può e non deve essere repressa da un sistema e da un governo che farà di questo il suo unico scopo
politico, spostando l’attenzione su soggetti che ritiene scomodi.

❗️Ci opponiamo fermamente alla repressione delle lotte in ogni città. Repressione che il governo e le istituzioni locali usano come specchietto per le allodole per mascherare quelli che sono i problemi reali del paese (caro vita in aumento, aumento degli affitti, disoccupazione, lavoro a nero ecc..).

❗️Ci opponiamo quindi a questa narrazione e a questi atti repressivi che spostano l’attenzione su soggetti che propongono pratiche innovative e di cambiamento reale e che li dipinge come pericolosi criminali. Nessunǝ compagnǝ può essere toccatǝ senza conseguenze!

Esprimiamo massima solidarietà allǝ compagnǝ di Askatasuna!

❗️Ribadiamo che l’11 e il 12 Febbraio a Napoli si terrà l’assemblea nazionale di
Smash Repression, per costruire un fronte comune di risposta a questo e a tutti
gli atti repressivi che il governo ha in serbo per i prossimi tempi.
Costruiamo una risposta insieme!

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[No 41-bis] Appeal from Amnesty International for Alfredo Cospito [ENG]

fonte: https://www.ansa.it/english/news/general_news/2023/01/24/amnesty-in-fresh-appeal-for-jailed-anarchist-head-cospito_d2dda656-5920-40eb-83b7-6187c6331bbf.html

(ANSA) – ROME, JAN 24 – Amnesty International on Tuesday made a fresh appeal for jailed anarchist leader Alfredo Cospito, who has lost over 40kg in an almost 100-day hunger strike against his unprecedented and tough mafia-style prison regime.
“Alfredo Cospito has now reached almost 100 days of hunger strike,” said AI on the Informal Anarchist Federation (FAI) leader, the first Italian anarchist to be placed under the 41-bis regime.
“We reiterate that it is the duty of the Italian authorities to fulfil their obligations to protect and respect the detainee’s human rights, also taking into account the harsh conditions of the 41 bis regime to which he is subjected.” Cospito has lost 40 kg of weight in a three-month-long hunger strike against the 41-bis regimen, his lawyer said last Tuesday.
Cospito, 55, on January 13 appealed to Italy’s justice minister against his prison conditions.
Normally only jailed mafiosi are subjected to the regime, which mandates almost complete isolation from the outside world.
Cospito had already appealed to the Supreme Court of Cassation on December 27.
Cospito, who has been sentenced to four years of 41 bis while he is serving two sentences totalling 30 years for terror attacks, recently saw an appeal turned down by a Rome surveillance court.
A lawyer for Cospito, whose weight loss has spurred Italy’s inmates ombudsman to voice fears for his life, said the fresh appeal to Justice Minister Carlo Nordio was “based on new information, not submitted to the Rome surveillance court”.
As sit-ins and demos in favour of Cospito continue daily, judicial sources said the case would first have to go to Turin prosecutors again before Nordio can examine the plea.
A number of high-ranking magistrates have issued an appeal to save Cospito’s life.
There have been several recent FAI attacks in support of Cospito.
Judges recently ruled that Cospito should stay under the 41 bis conditions because otherwise there was a risk of his running FAI operations from inside jail.
On December 9 Greek anarchists linked to FAI claimed responsibility for the firebombing of two cars belonging to an Italian diplomat in the Greek capital a week previously.
The Greek group, which calls itself after a protester killed by a Carabiniere in self-defence at the 2001 Genoa G8 riots, said they were acting in solidarity with Cospito.
The group, Carlo Giuliani Vendetta Nucleus, said it was supporting the hunger strike of Cospito, who is serving 20 years for a bomb attack on a Carabinieri training academy at Fossano near Cuneo in Piedmont in 2006 and a further 10 years and eight months for wounding Ansaldo Nucleare Managing Director Roberto Adinolfi in Genoa in 2012.
The carbomb attacks against Athens embassy counsellor Susanna Schlein, sister of centre-left Democratic Party (PD) leadership candidate Elly Schlein, took place at dawn on Friday December 2 and were soon attributed to anarchists like the FAI, who had shouted threatening slogans during Cospito’s recent appeals trial.
Foreign Minister Antonio Tajani said Schlein survived the attacks “by a miracle”.
Both Schlein sisters have now been assigned police protection.
After the firebombings, FAI militants issued the mocking message “Susanna Schlein should learn to park”.
Rome prosecutors said last month they were opening a probe into arson attacks on ATMs and rubbish containers in two parts of the Italian capital on a recent Saturday night by Cospito supporters. (ANSA).

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[Smash Repression] Torino: Assemblea 31 gennaio 2023, Magazzino sul Po [ITA]

Martedì 31 gennaio ore 20.00

>>> Magazzino sul Po

Il cosiddetto “decreto anti-rave” è diventato legge.

Una norma strutturata con l’obbiettivo evidente di colpire tutte le
realtà che si auto-organizzano autogestendosi e liberando spazi.

Una legge che apre alla repressione di pratiche e strumenti di lotta:
dal free-party allo squat, dal centro sociale alla TAZ.

E’ fondamentale continuare il percorso per la costruzione di una mobilitazione determinata contro questa ulteriore compressione delle nostre libertà.

ASSEMBLEA APERTA per confrontarsi e organizzarsi contro la “Legge
Anti-Rave”

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[No 41-bis] Empeora la situación de Alfredo Cospito, pero la justicia estira los plazos [ES-EU]

fonte: https://lucharcontrael41bis.noblogs.org/2023/01/26/empeora-la-salud-de-alfredo-cospito-euskara-castellano/

Alfredo Cospitoren osasun egoera okerrera egin du eta Justiziak epeak luzatzen ditu!

Urtarrilaren 25ean Erromako Kasazio Auzitegiak (apelazio epaitegi gorena) Justizia ministroaren ildo beretik,  apirilaren 20rako jarri du Alfredo Cospito 41 bis erregimenetik ateratzeko jarritako helegitea aztertzeko data.

“Apirilaren 20ean Alfredo hilda egongo da. Hain tarte luzea itxarotea haren baldintzekin bateraezina da. Egoera mugara heldu da, 100 egunez ez du jan eta 40 kilo baino gehiago galdu ditu. Medikuntzako literaturak norberaren pisuaren erdia galtzen denean atzerabiderik gabeko kalteak gertatzen direla egiaztatu du. Ezin du hainbeste itxaron, edozein unetan kolapso bat izan dezake eta orduan indarrez berpiztu eta elikatu beharko dute. Baina berak jada derrigorrezko elikadura arbuiatzen duela idatzita utzi du. Orain zer gertatuko da?”

Angelica Milia, Alfredoren osasun egoeraren jarraipena egiten ari den konfidantzazko medikuak urtarrilaren 26ean Alfredo espetxean bisitatu ondoren egindako adierazpen kezkagarriak:

“Gau honetan Alfredo dutxan erori da eta sudurraren oinarrian duen haustura anitza murrizteko klinikan artatu dute, baina odol asko galdu du, indarge dago, gorputzaren termoerregulazio normala izateko zailtasunak ditu. (Odolean) plaketak oso baxu ditu eta zauri txikienak ere hemorragia indartsu bat eragin diezaioke, zeinak, haren osasun baldintza orokorrak ikusita eta 100 egun elikatu gabe daramatzala kontutan izanda ondorio larriak izan ditzazke.
Jada ez da berriro ibiltzera ez pasiatzera patio orduan, oso ahul sentitzen da, hainbeste gurpildun aulkia erabiltzen ari dela eta honek asko makurtzen du.
Gau honetako erorketaren eta klinikan jasotako artaketaren mina txikitu egin da. Baina ez du lortzen termoerregulazio normal bat izatea, berotzeko ahaleginetan soinean hiru praka eta 4 jertse daramatza jantzita. Garbi dago ezin duela espetxe honetan jarraitu, artapen sanitario egoki bat bermatu diezaiokeen egitura batera lekualdatua izan behar du”.

[ESP mas abajo]

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Atlanta (Georgia,US): Police raid in Weelaunee squatted forest, one person killed [EN,ES,DE,FR,PT,EU,PO,JP,IT,RU]

fonte: https://defendtheatlantaforest.org/solidarity/

Solidarity with the movement to stop Cop City & defend the Weelaunee Forest

Translations
ENGLISH | Español | GERMAN | FRENCH | PORTUGuESE | BASQUE | Polish | Japanese | Italian | Russian |

in memory of Tortuguita, killed by policeOn January 18, in the course of their latest militarized raid on the forest, police in Atlanta shot and killed a person. This is only the most recent of a series of violent police retaliations against the movement. The official narrative is that Cop City is necessary to make Atlanta “safe,” but this brutal killing reveals what they mean when they use that word.

Forests are the lungs of planet Earth. The destruction of forests affects all of us. So do the gentrification and police violence that the bulldozing of Weelaunee Forest would facilitate. What is happening in Atlanta is not a local issue.

Politicians who support Cop City have attempted to discredit forest defenders as “outside agitators.” This smear has a disgraceful history in the South, where authorities have used it against abolitionists, labor organizers, and the Civil Rights Movement, among others. The goal of those who spread this narrative is to discourage solidarity and isolate communities from each other while offering a pretext to bring in state and federal forces, who are the actual “outside agitators.” The consequence of that strategy is on full display in the tragedy of January 18.

Replacing a forest with a police training center will only create a more violently policed society, in which taxpayer resources enrich police and weapons companies rather than addressing social needs. Mass incarceration and police militarization have failed to bring down crime or improve conditions for poor and working-class communities.

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[No 41-bis] Non permetteremo l’assassinio di Alfredo Cospito – Chiamata di mobilitazione internazionale [IT-GR-EN-DE-ES-FR]

fonte: https://ilrovescio.info/2022/10/25/non-permettiamo-lassassinio-di-alfredo-cospito-appello-per-una-mobilitazione-internazionale/

Non permetteremo l’assassinio di Alfredo Cospito
in sciopero della fame dal 20 ottobre

[ITA] Non permettiamo l’assassinio di Alfredo Cospito
[ENG]  We do not allow the murder of Alfredo Cospito
[DEU] Wir werden den mord an Alfredo Cospito nicht zulassen
[ESP] No permitamos el asesinato de Alfredo Cospito
[GRE] ΔΕΝ ΕΠΙΤΡΕΠΟΥΜΕ ΤΗ ΔΟΛΟΦΟΝΙΑ ΤΟΥ ALFREDO COSPITO
[FRA] nous ne permettons pas le meurtre d’Alfredo Cospito

Appello per una mobilitazione internazionale

Lo scorso 20 ottobre l’anarchico Alfredo Cospito, nel corso di un’udienza presso il tribunale di sorveglianza di Sassari, ha tentato di leggere un’articolata dichiarazione nella quale annuncia di essere entrato in sciopero della fame contro il regime detentivo di 41 bis a cui è sottoposto e contro
l’ergastolo ostativo. Una battaglia che Alfredo non intende interrompere, fino al proprio decesso. Il compagno, che si trova in 41 bis dallo scorso 5 maggio con un decreto firmato dall’allora ministra della giustizia Marta Cartabia, è attualmente detenuto nel carcere di Bancali, in Sardegna.

Alfredo Cospito è un anarchico da sempre in prima linea nelle lotte, mai disposto a compromessi o ad arrendersi. È un compagno che ha lottato dalla fine degli anni Ottanta, periodo nel quale venne incarcerato come obiettore totale (per il rifiuto di svolgere il servizio militare obbligatorio) e che, dopo l’arresto avvenuto nel 2012, nel corso del processo che ne è seguito, ha rivendicato il ferimento del dirigente di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi, realizzato dal Nucleo Olga / Federazione Anarchica Informale – Fronte Rivoluzionario Internazionale e avvenuto il 7 maggio dello stesso anno a Genova.
Alfredo è sempre stato attivo nella difesa dei compagni colpiti dalla repressione, in ogni angolo del mondo.

La sua lotta oggettivamente riguarda tutti i detenuti, fra i quali ricordiamo particolarmente i tre militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente rinchiusi da oltre 17 anni in 41 bis (Nadia Lioce, Roberto Morandi. Marco Mezzasalma). Nel 2009 la compagna
Diana Blefari, della stessa organizzazione, si tolse la vita, dopo la permanenza in questo duro regime carcerario.

Alfredo si trova in carcere ininterrottamente da dieci anni, trascorsi nelle sezioni di Alta Sicurezza fino al trasferimento in 41 bis. Nel 2016 è stato coinvolto nell’operazione Scripta Manent, accusato di associazione sovversiva con finalità di terrorismo e di molteplici attacchi esplosivi. A seguito
della sentenza di Cassazione del luglio di quest’anno, è stata riformulata la condanna per lo stesso Alfredo e per Anna Beniamino in “strage politica”, la cui unica pena prevista è l’ergastolo. Lo Stato italiano che ha sempre protetto gli stragisti fascisti ora vuole condannare per strage due anarchici per un attacco che non ha provocato né vittime né feriti.

Alfredo da anni contribuisce con articoli, progetti editoriali e proposte al dibattito anarchico internazionale. Per questo motivo è stato più volte sottoposto a censura e divieto di comunicazione con l’esterno, venendo condannato per la pubblicazione del foglio anarchico rivoluzionario
“KNO3” e dell’ultima edizione di “Croce Nera Anarchica” e attualmente indagato per la pubblicazione del giornale anarchico “Vetriolo”. Dopo questi provvedimenti, nel mese di maggio ad Alfredo è stato applicato il 41 bis e successivamente trasferito dal carcere di Terni a quello di Bancali, a Sassari. In questo modo gli viene impedito ogni contatto con l’esterno.
Il 41 bis serve per isolare completamente il detenuto dall’esterno. La misura viene disposta per quattro anni, ma di fatto l’unico modo per uscirne è quello di pentirsi e collaborare con le forze repressive. In altre parole, il 41 bis è tortura, in quanto ideato per indurre sofferenza allo scopo di estorcere confessioni o dichiarazioni.

Questo regime carcerario comporta un’ora di visita al mese con il vetro divisorio, sotto sorveglianza elettronica e con la registrazione audio e video. Solo se i familiari non hanno la possibilità di recarsi al colloquio, in alternativa alla visita in carcere è prevista la possibilità di una telefonata mensile di
10 minuti, ma per effettuarla il familiare del detenuto deve recarsi presso una caserma dei carabinieri o all’interno di un carcere. Inoltre è prevista una sola ora d’aria e una sola ora di socialità interna alla sezione, che avvengono in gruppi composti da un minimo di due a un massimo di quattro detenuti: la divisione in gruppi viene decisa direttamente dagli uffici dei burocrati a Roma e dura alcuni mesi.
Il 41 bis è un regime carcerario di annientamento, in quanto studiato per provocare danni fisici e mentali tramite la tecnica della deprivazione sensoriale; si tratta di una condanna alla morte politica e sociale, volta a recidere ogni forma di contatto con l’esterno. Il trattamento riservato ad Alfredo ci ricorda le parole attribuite a Benito Mussolini su Gramsci: bisogna impedire a questo cervello di funzionare per vent’anni.

Esemplificativo del buco nero nel quale si finisce una volta entrati in 41 bis è proprio quanto accaduto il 20 ottobre durante l’udienza presso il tribunale di sorveglianza di Sassari. In questa udienza è stato impedito ai solidali di entrare in aula, il compagno si trovava collegato in videoconferenza dal carcere come previsto dalle regole del 41 bis e quando ha tentato di leggere la propria dichiarazione gli è stata tolta la voce schiacciando un bottone. La dichiarazione è secretata dai giudici, se gli avvocati la diffondessero rischierebbero una pesante condanna penale.

La vicenda del compagno Alfredo Cospito si intreccia con un clima repressivo sempre più cupo nel Paese. Fuori dal movimento anarchico, assistiamo a una repressione sempre più opprimente anche contro gli operai, gli studenti, i movimenti sociali. Citiamo il caso più eclatante: questa estate la procura di Piacenza ha aperto un’inchiesta contro dei sindacalisti accusandoli di “estorsione” perché chiedevano, con una lotta “radicale” (picchetti e blocchi stradali), degli aumenti salariali al padrone.

Vogliamo che si comprenda anche all’estero che la china repressiva che sta prendendo lo Stato italiano riguarda tutti in prima persona, dato che un precedente di queste dimensioni nel cuore dell’Europa potrebbe essere foriero di ulteriori balzi repressivi anche ad altre latitudini. Tutto ciò sta
accadendo mentre la crisi sociale e la crisi militare internazionale peggiorano di giorno in giorno.
Sappiamo che questi sono i contesti ideali per mettere in atto svolte autoritarie da parte dei governi.

Abbiamo poche settimane per salvare la vita di Alfredo Cospito, per evitare il suo assassinio, ma soprattutto per dare un segnale di contrattacco a quanto sta succedendo.

Riteniamo lo Stato responsabile della vita e della salute del compagno.

Mobilitiamoci in tutto il mondo, facciamo pressione sullo Stato italiano affinché Alfredo possa uscire dal 41 bis.

compagni e compagne
25 ottobre 2022

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[Smash Repression] Torino: Comunicato 17 dicembre 2022 – Smash Repression – Questo é solo l’inizio! [ITA]

riceviamo e pubblichiamo:

Questo è solo l’inizio!

Smash Repression Torino
17 dicembre 2022

Sabato 17 Dicembre si è tenuta a Torino, così come in tante altre città dell’Italia e della Francia, una street parade contro il decreto anti-rave, uno dei primi provvedimenti del Governo di destra da poco insediato.
Una pluralità eterogenea di origini e generi diversi ha invaso la città, portando musica, danze, arte e facendo sentire la propria voce e la propria rabbia contro l’ennesima legge liberticida entrata in vigore il 30 dicembre scorso grazie allo strumento autoritario della ghigliottina che annulla qualsiasi discussione parlamentare. D’ora in avanti vengono infatti messe a rischio non solo forme spontanee di aggregazione che da secoli caratterizzano e permeano la nostra socialità, ma anche gli spazi e i luoghi “liberati” e l’espressione del dissenso possono essere ancora più fortemente repressi. Si rischiano pene molto severe, fino a 6 anni di carcere e misure preventive e d’indagine degne di reati come l’associazione mafiosa. Questo percorso inclusivo e partecipativo nasce dal basso come risposta all’introduzione di queste misure che sono frutto di una speculazione politica e mediatica ai danni di un grosso evento tenutosi nei pressi di Modena a fine ottobre. Abbiamo assistito ad una delle peggiori mistificazioni ad opera dei media main stream che in maniera nemmeno troppo abile sono riusciti a far passare i ravers e le tribes presenti come l’ennesimo nemico pubblico numero uno, contro i quali evidentemente questo Governo, in continuità con la linea di Salvini e dei governi precedenti, decide di usare il pugno di ferro. Un approccio chiaramente ideologico che si completa con il respingimento delle persone migranti, lasciate spesso per giorni a morire e soffrire in mezzo al mare e nei boschi, il carcere duro col regime del 41 bis e l’introduzione dell’ergastolo ostativo per chi lotta e non accetta la morale imposta dallo Stato. Misure che non sono né urgenti e nemmeno necessarie, sappiamo bene che i problemi sono tanti e ben altri: grazie al diffondersi delle pratiche di riduzione del danno non si muore più nei capannoni dove si fanno i rave ma si continua a morire nei luoghi di lavoro a causa del mancato rispetto delle norme di sicurezza; si soffre per la mancanza di politiche sociali adeguate che si vorrebbero ulteriormente ridimensionare, tagliando quelle che sono le attuali misure di sostegno alla povertà, in una fase dove il caro energia e l’inflazione non permettono di arrivare alla fine del mese. La nostra risposta a chi ci attacca, a chi ci vorrebbe fare passare per chi non siamo o ci vorrebbe fare scomparire è stata una piazza rumorosa, determinata e compatta, rispettosa di tutte le differenze presenti al suo interno, che ha visto sfilare a suon di musica e interventi 12 carri e migliaia di persone che si sono riprese una città da anni immobilizzata dall’impasse post-industriale e post-olimpica, dai numerosi sgomberi e ancora scossa da una pessima gestione della pandemia. Si respirava per le strade l’allegria, il fermento e la voglia di ballare, ma anche tanta voglia di riappropriarci delle nostre pratiche, di rilanciare le nostre reali istanze e riprenderci le nostre esistenze. Chiaramente media e stampa da sempre asserviti al potere si sono ben guardati dal diffondere le ragioni della nostra protesta e come prevedibile si sono limitati a far notare che per qualche ora in città abbiamo rovinato lo shopping natalizio della città vetrina!
Rilanciamo la nostra partecipazione e confermiamo la nostra presenza all’assemblea nazionale di febbraio.
Questo è solo l’inizio, lungi dal vergognarci delle nostre diversità ed unicità, scenderemo in piazza tutte le volte che sarà necessario in futuro, in tutte le città ed in tutti i territori.

Scendiamo nelle strade per riprendercele ed entriamo nei luoghi abbandonati per farli rivivere.
Porta la tua espressione libera.

Balliamo insieme, insieme lottiamo!

Smash Repression Torino

Su critiche, defezioni e comunicati

Crediamo che la nostra libertà non sia facilmente etichettabile o legata a categorie e pensiamo che inizi e non finisca dove inizia quella altrui. Di conseguenza, proponiamo quanto prima un confronto aperto, che auspichi a coinvolgere qualsiasi realtà sensibile alle tematiche politiche intorno alle quali nasce quest’assemblea.
Questa prima esperienza che vede riunite le realtà presenti ha testimoniato una forte volontà e un forte potenziale di convergenza nelle lotte, in un percorso assembleare che porta fisiologicamente alla luce attriti e divergenze.

Infatti, ciò che è emerso evidente a chi, nonostante le differenze, ha deciso di partecipare all’assemblea e alla piazza per connotarla con le proprie istanze, è una visione della politica che rifiuta tutti i tentativi di negare la natura intrinsecamente conflittuale della società.

Coerentemente, l’assemblea ha riconosciuto dal primo momento l’ ineliminabilità di sistemi di credenze divergenti e l’impossibilità di raggiungere un accordo assoluto fra tutte le parti presenti. Tuttavia, questa consapevolezza non si è tradotta nell’accettazione di “un pluralismo totale”. Sono stati dibattuti dei criteri che il movimento reputava necessari per un’azione collettiva e coesa nella sfera pubblica. Modalità che sono diventate condizioni di partecipazione all’assemblea e alla mobilitazione e indicazioni per vivere la piazza che sono state tradotte in un vademecum.

L’insieme delle varie realtà si è proposto compatto sia a livello di comunicazione che di azione uscendo con un comunicato unico affiancato da altre azioni e materiali informativi connotati dai singoli attori presenti. Il risultato è stata una piazza coesa in cui allo stesso tempo é stata espressa liberamente la diversità delle istanze presenti, comprese quelle legate al tema dell’antisessismo, denunciato come grande assente da un comunicato fatto circolare da alcune realtà politiche che hanno boicottato la piazza.

Ciò che emerge dalle pratiche condivise in assemblea è una natura politica dei limiti che ci si è dati per l’azione e non una loro presentazione come requisiti di moralità, razionalità o come qualità intrinseche di qualche cultura fissa o normativa. La nascita di un nuovo corpo politico apre una possibilità evolutiva da cui partire per rilanciare questa prima esperienza con l’idea di crearne altre in futuro. Non mancano infatti posizioni che, proprio perché hanno care le istanze di cui si è accusata l’assenza, vogliono portare avanti il percorso ribadendone l’importanza come già avvenuto in piazza. Nella pratica di rapporti antiautoritari che vogliamo costruire insieme è contenuto e va coltivato l’annullamento di privilegi ed oppressioni, per questo nei luoghi che occupiamo, siano essi strade o case, la cura per chiunque sia in difficoltà un è alla base del nostro agire comune. La retorica che descrive i luoghi libertari come non sicuri e pericolosi appartiene ai governi ed alla politica istituzionale.

Smash Repression Torino

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[Smash Repression] Alba (CN): Street Parade Antifascista 17-12-2022 [ITA]

Esiste un allarme fascista ?

Sia su scala nazionale, sia su scala territoriale pensieri reazionari si concretizzano e trovano campo aperto in modo frequente e progressivo.

1.Il decreto anti rave siglato governo Meloni (ma già in cantiere durante il governo Draghi) è una misura repressiva e criminalizzante nei confronti di dissenso e autogestione. Un attacco in pieno stile fascista verso chi immagina e mette in pratica un modello di vita differente. Inoltre rischia di criminalizzare qualsiasi azione di dissenso e autorganizzazione (come uno sciopero in una fabbrica o un’occupazione scolastica).

2. Un anno fa , il 19 dicembre 2021 , organizzammo un corteo ad Alba. Il motivo? la presenza di organizzazioni d’estrema destra nel centro storico della città (medaglia d’oro alla resistenza partigiana). Convinti del fatto che razzismo, intolleranza e servilismo nei confronti dei padroni non debbano trovare spazio nella società, abbiamo tentato di comprendere quali altre forme di prevaricazione esistono aldilà della propaganda politica.

3. Da quel momento ci siamo concentrati sullo sfruttamento lavorativo, in particolare sulle colture intensive delle viti e delle nocciole che costellano le colline attorno ad Alba, un mondo di subordinazione nei confronti di migranti o di soggettività deboli, una realtà di prevaricazione che non tollera differenze – lontana dallo scambio culturale utile all’integrazione

4. In tutta Italia covi fascisti,da Pavia a Firenze, trovano legittimità da parte delle istituzioni minando la cultura della solidarietà con ottiche razziste e xenofobe.

5. A conferma di ciò a ottobre 2022 a Piobesi d’Alba si è tenuto un concerto con patrocinio del comune di chiaro stampo neofascista.

La notte stessa (dopo un assemblea popolare che ha dato vita all’osservatorio antifascista) una trentina di attivisti e militanti si sono trovati nel piazzale antistante al salone polifunzionale: oltre alla presenza di personaggi sgraditi si è contestato l’atteggiamento permissivo del sindaco e delle autorità annesse.

Per questi motivi,per fronteggiare la situazione di sdoganamento sabato 17 dicembre alle ore 15 indiciamo un corteo con partenza dall’area verde di San Cassiano di Alba .

Ricordiamo che il nostro collettivo affonda le radici nei free party. Siamo orgogliosi di avere assorbito una cultura antirazzista, libera dalle ottiche di profitto e lontana dal divertimento standardizzato capitalista.

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[Smash Repression] Napoli: Smash Repression – Chi ce tocca s’appiccia! – 17-12-2022 [ITA]

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[Smash Repression] France: Manifestive – Appel National – 17-12-2022 [FRA]

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[Smash Repression] Roma: Pik Nix libero ed autogestito – La socialitá non puó essere un reato – 17-12-2022 [ITA]

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