Contro l’aeroporto ed il suo mondo – Una piccola cronaca sul bocage furibondo
Siamo arrivati/e da un po’ dappertutto per qualche settimana e vorremmo trasmettere quello che abbiamo vissuto qui, per motivare dei gruppi di compagni/e a proseguire le dinamiche scaturite in seguito allamanifestazione di rioccupazione del 17 novembre e nella continuità del periodo di sgomberi. Con questo testo, vorremmo porre delle
osservazioni/riflessioni intorno a questa lotta che assomiglia sempre più seriamente ad un movimento. Movimento nel senso che prima era piuttosto “facile” afferrare la situazione sulla ZAD e quella della lotta contro
l’aeroporto, ormai superata dalla massa di gente/collettivi/gruppi/comitati che se ne sono appropriati. Movimento pure nella moltiplicazione e nella pluralità di forme di azione, di resistenza e di attacchi che trovano il loro posto, si completano senza necessitare per forza di coordinarsi, sono note senza aver bisogno di essere esplicitate, sono spesso approvate e poco criticate.
Dal nostro primo passaggio, è volontà nostra cercare di rinforzare la lotta contro l’aeroporto con l’azione diretta come pratica, cioè la lotta senza mediazione, senza trattative con innumerevoli gestori, pubblici e privati, del progetto (cosa non capiscono nel NO?). Ci era necessario conoscere la storia di questa lotta, la gente e le associazioni che la compongono. Ogni volta che arrivavamo sul posto, cercavamo di captare di nuovo l’atmosfera del momento, come si sentivano i/le nostri/e compagni/e e amici/che, come progredivano i lavori, quali erano state le azioni condotte di recente e le reazioni che suscitavano presso le varie componenti della lotta, come evolvevano i rapporti con la gente e i contadini/e del posto, quali forme assumeva l’organizzazione quotidiana sulla ZAD tra i diversi luoghi di vita, in che modo si impostava la campagna contro Vinci, l’organizzazione della manifestazione di rioccupazione, e gli strumenti della lotta.
Prosegui la lettura scaricando il testo completo in formato PDF
Contro l’aeroporto ed il suo mondo Una piccola cronaca sul bocage furibondo
Siamo arrivati/e da un po’ dappertutto per qualche settimana e vorremmo trasmettere quello che
abbiamo vissuto qui, per motivare dei gruppi di compagni/e a proseguire le dinamiche scaturite in
seguito allamanifestazione di rioccupazione del 17 novembre e nella continuità del periodo di
sgomberi. Con questo testo, vorremmo porre delle
osservazioni/riflessioni intorno a questa lotta che assomiglia sempre più seriamente ad un
movimento. Movimento nel senso che prima era piuttosto “facile” afferrare la situazione sulla ZAD
e quella della lotta contro
l’aeroporto, ormai superata dalla massa di gente/collettivi/gruppi/comitati che se ne sono
appropriati. Movimento pure nella moltiplicazione e nella pluralità di forme di azione, di resistenza
e di attacchi che trovano il loro posto, si completano senza necessitare per forza di coordinarsi, sono
note senza aver bisogno di essere esplicitate, sono spesso approvate e poco criticate.
Dal nostro primo passaggio, è volontà nostra cercare di rinforzare la lotta contro l’aeroporto con
l’azione diretta come pratica, cioè la lotta senza mediazione, senza trattative con innumerevoli
gestori, pubblici e privati, del progetto (cosa non capiscono nel NO?). Ci era necessario conoscere
la storia di questa lotta, la gente e le associazioni che la compongono. Ogni volta che arrivavamo
sul posto, cercavamo di captare di nuovo l’atmosfera del momento, come si sentivano i/le nostri/e
compagni/e e amici/che, come progredivano i lavori, quali erano state le azioni condotte di recente e
le reazioni che suscitavano presso le varie componenti della lotta, come evolvevano i rapporti con la
gente e i contadini/e del posto, quali forme assumeva l’organizzazione quotidiana sulla ZAD tra i
diversi luoghi di vita, in che modo si impostava la campagna contro Vinci, l’organizzazione della
manifestazione di rioccupazione, e gli strumenti della lotta.
POSIZIONI POLITICHE : Una lotta costante all’interno di un movimento.
Quando un movimento cresce all’improvviso, alcune cose possono rapidamente oltrepassarci, in
particolar modo su questioni politiche di fondo. Sulla ZAD, prima, durante e dopo la
manifestazione di rioccupazione, è stato
condotto un lavoro di fondo contro il recupero da parte di partiti politici o altre organizzazioni ed ha
portato i suoi frutti per il seguito.
Rispetto ai partiti politici. Prendere posizione e portare, durante iniziative ed in assemblea generale,
delle posizioni richiedenti un movimento “popolare” e il più orizzontale possibile, hanno permesso
ad alcuni individui di emanciparsi momentaneamente dalla loro organizzazione e di essere attori o
attrici nell’ambito dell’organizzazione della
manifestazione di rioccupazione. Allo stesso tempo, ciò ha consentito di lasciare il minor spazio
possibile ai recuperatori politici.
Grossa sfida, dato che si deve valutare il proprio posizionamento tra, da un canto, la celebre frase
“non ci si deve dividere”e, d’altro canto, portare posizioni politiche e pratiche all’interno della lotta
in movimento (vedere il testo “noi vogliamo una manifestazione, non una sfilata”) .
È importante partecipare, e quindi intervenire, in questi momenti di assemblea generale ove si
giunge a dei compromessi o a delle incoerenze politiche per interrogarle, e quindi fare in modo di “
trovarci senso” per
non abbandonare il terreno dei discorsi, e non abbandonare il terreno della lotta.
Grossa sfida perché è facile criticare e sorridere insieme quando una vetrina del PS (partito
socialista) esplode dall’altra parte della Francia, più difficile quando si tratta di azioni contro
Europe Ecologie Les Verts (E.E.L.V = Europa Ecologia I Verdi) o il Front de Gauche (Fronte di
Sinistra) di cui alcuni militanti sono presenti sul campo. Alla fine, alla manifestazione, poche
bandiere e assenza dei/lle dirigenti di partiti assenti o non proprio a loro agio, il lavoro di fondo è
stato efficace, e non è un dettaglio allorché dei membri di sindacati o organizzazioni pretendono
voler presentarsi come “individui in lotta”.
Nonostante ciò, ci sembra che il discorso che abbiamo portato per “dividere il meno possibile” non
sia stato concludente. In effetti, rifiutare la presenza dei partiti politici, portando avanti il fatto “ci
hanno sputato addosso per anni, denunciando i violenti e gli ultra”, trascura un po’ troppo anche il
fatto che (e forse sopratutto) vogliamo
tendere a rompere, in questa lotta e nelle altre, con tutti i partiti politici o organismi recuperatori,
mediatori, riformisti. Questo può parere una smentita di fronte alle accuse di essere violenti,
radicali, ultras, perché possiamo dissociarsi da questi termini ma non dalle pratiche di lotta che
conterrebbero.
Queste ultime settimane, alcune delle diverse posizioni politiche si sono affievolite allo scopo di
restare assieme con un obbiettivo comune (fermare il progetto) e parziale (rioccupare costruendo).
Tuttavia ci sono sempre state delle divergenze e potrebbero riemergere peggio di prima per esempio
al momento di proposte di trattative formulate dalla prefettura.
Come si potrebbe allora scegliere di lasciar ridefinire delle posizioni molto diverse o spingere a
delle decisioni comuni a costo di fare compromessi? I termini della trattativa lanciata dalla
prefettura ad alcune associazioni ed eletti, portano sulle pratiche che ostacolano concretamente il
progetto: bloccare le strade e rioccupare le zone
sgomberate. La scelta di liberare le strade non deve essere un termine della trattativa con chi decide,
ma un cambiamento di strategia discussa e decisa insieme. Conoscendo la difficoltà e sapendo che
forse non sia appropriato in certi momenti di portare delle posizioni politiche in modo frontale
all’interno della lotta, questo lavoro di fondo deve tuttavia continuare ad essere costante, a rischio di
troncare con certi individui per avvicinarsi ad altri.
Riguardo ai media
Quando una lotta prende il volo verso l’esterno e lo spettacolo tira fuori dal loro comfort i
giornasbirri, la ZAD dà una risposta interessante al problema dei media. La scelta è di affrontare
questa mediatizzazione, piuttosto che evitarla, gestirla. L’automédia è una pratica risultata dal
processo di discussioni collettive tanto a proposito delle manipolazioni mediatiche, quanto riguardo
“la protezione del nostro anonimato” contro la repressione, ecc. Agisce sia sulla diffusione delle
informazioni in modo autonomo, sia sulla diffusione ad alcuni media di comunicati o allorché
prendono la parola i “Camille” mascherati. È molto difficile per i giornalisti lavorare sulla zona
perché più che non cacciarli via totalmente, il che è impossibile e che poi molte persone che lottano
non desiderano, il tempo a loro impartito per poter venire sul posto è deciso in anticipo [vedi testo
“vert de colère, ou la manifestation de
récupération – “verde di rabbia, o la manifestazione di recupero”], e sono accompagnati e
controllati. Durante gli scontri, più difficili da gestire, si lascia spazio all’iniziativa personale per
cacciarli via se possibile.
Per la manifestazione, è stato imposto ai media di portare bracciali di identificazione e un discorso è
stato fatto loro dal gruppo automedia sull’obbligo di chiedere il permesso prima di scattare foto dei
visi e sul divieto di entrare nel blocco in testa all’autodifesa. Sono state imposte delle zone di
resistenza dove la presenza dei giornalisti non era gradita se non perfino vietata. Per la difesa del
Rosier per esempio, dove le barricate erano il perimetro, dei cartelli annunciavano chiaramente
delle posizioni come questa:“avviso ai giornalisti, la vostra presenza non è
gradita perché le nostre vite non sono uno spettacolo, perché volontariamente o involontariamente
siete indispensabili al potere ed per perpetuare questo sistema…ecc.”
Questa posizione è comunque fragile perché è rimessa in discussione regolarmente sul terreno. “
Grazie ai media, la polizia picchia meno forte, grazie ai media la gente ci appoggia, grazie ai media,
il governo indietreggia, …ecc.”. Questi argomenti di fatto di minimizzano la forza collettiva di
questa lotta e ci spossessano della nostra capacità di
comunicare “direttamente” tramite le nostre reti di media autonomi e i nostri incontri diretti con la
gente.
La ZAD conserva così una certa autonomia nei confronti dei discorsi mediatici dominanti, prova ne
è la frequentazione del sito internet zad.nadir.org, consultato per informarsi e dare delle
contribuzioni, da un
numero di persone in costante aumento. In questa lotta sono state costantemente portate posizioni
politiche, a
testimoniarne l’evoluzione degli slogan del movimento : all’inizio “No all’aeroporto di Notre Dame
des Landes”, diventato “ no all’aeroporto, né qui né altrove” poi “ Vinci fuori dai piedi” ( con il
lancio di una campagna contro Vinci stopvinci.noblogs.org) e “ Contro l’aeroporto e il suo mondo”,
poi “ Vinci fuori dai piedi, resistenza e sabotaggio”… e
perché no, prossimamente “Contro questo mondo e il suo aeroporto?”
LA CASSETTA DEGLI ATREZZI (strumenti a disposizione)
*Sulla ZAD, degli strumenti di lotta che sono stati creati da mesi se non da anni mostrano sia la loro
forza sia quanto siano indispensabili in questo periodo. Legal team e medics team, l’autonomia e gli
*arrangiamenti *alimentari, la radio Klaxon, i sistemi di comunicazione talkies e telefoni e
l’organizzazione delle riunioni tra “zadisti”, delle riunioni
più accessibili alla gente di passaggio, delle assemblee generali. A volte l’organizzione di tutto ciò è
incasinata perchè molto difficile da mantenere costantemente. Oggi questa “organizzazione”
dipende dalla volontà di conoscere il funzionamento di questi strumenti, per permettere un appoggio
ai/lle compagni/e che vivono sul posto, e di ,trasmetterli per poter sentirsi a nostro proprio agio,
facendo parte della lotta.
Per far durare nel tempo una mobilizzazione collettiva forte, arrangiarsi da soli non basta, bisogna
dar spazio a una preoccupazione collettiva. Uno dei parametri essenziali è il rifornimento.
Sulla ZAD, è una svolta decisiva nell’organizzazione quotidiana: L’appello a dei bisogni materiali
(attrezzi, cibo, calze e vestiti) s’è trasformato in un vero approvvigionamento costante per
appoggiare le persone espulse e poi la lotta nella vita quotidiana. Tutti i giorni, c’è chi prepara da
mangiare, con soluzioni per recuperare oppure con possibilità
(finanziarie) (ri)forniscono l’effimero luogo di vita collettiva della Vache-rit, trasformato in un
quartiere generale che all’inizio doveva durare solo qualche giorno. Cibo, vestiti, scarpe, stivali,
coperte, lenzuola, attrezzi, pile, medicinali, maschere anti-gas… tabacco, vino… a volte benzina…
In costante rifornimento, l’impressione che nel corso delle ultime settimane, aumentano le scorte
invece di diminuire. Questa solidarietà e il mettere in comune tutti i bisogni materiali sono
fondamentali per riuscire a focalizzare l’energia sulla resistenza agli sgomberi e gli attacchi a chi
gestisce il progetto; sopratutto in un contesto di occupazione militare con dei check-points sulla
zona e nei villaggi dei dintorni. Questo rifornimento è stato reso possibile anche grazie a Radio
Klaxon, aiuto complementare indispensabile : accendi la radio pirata per sapere dove sono i check-
points e quindi portare tranquillamente le tue carote e maschere anti-gas.
Si vive una strana esperienza, quella di non doversi preoccupare dell’approvvigionamento. In
effetti, da un canto la bellezza quotidiana di vedere tutte queste persone portare tutto ciò di cui c’era
bisogno, dall’altro, non c’è stato mai un momento per poter riflettere alla possibilità di uscire dalla
zona per andare a prendere insieme quello di
cui avevamo bisogno perché non era necessario. Di nuovo, è bellissimo, perché mai a nostra
conoscenza era stata vissuta una situazione con un approvvigionamento di una tale efficienza, ma è
importante immaginare come
la necessità ed il bisogno può sfociare su opportunità di riappropriazione materiale. Il fatto è che in
altre lotte sociali, sopratutto in città, facciamo parte di lotte “di poveri”, ove quando ci s’immagina
una situazione di rottura con l’isolamento in un contesto conflittuale con il potere, dobbiamo
pensare al modo di riappropriarci ciò di cui abbiamo
bisogno, cercare (e andare a prendere) nei luoghi di produzione capitalista quello di cui c’è bisogno
per nutrirsi, per costruire, per proteggersi, per attaccare. Dobbiamo continuare a riflettere ai modi di
creare sulla ZAD delle possibilità di espropriazione dei nostri bisogni, e nelle nostre città costruire
strumenti, complicità e solidarietà che
possono corrispondere a dei bisogni importanti durante una situazione di movimento di lotta.
Ad un altro livello, seguito allo sgombero e alla distruzione del Sabot (l’orto collettivo della ZAD) e
nell’ottica della fine delle procedure di espropriazione delle fattorie e terreni sulla ZAD inizio 2013,
l’autoproduzione di cibo, occupando e coltivando in modo collettivo, potrebbe riemergere. È in
particolare tramite la volontà di
riappropriazione della terra per produrre cibo che il movimento porta in modo concreto la difesa
della ZAD, tramite la continuità delle attività contadine e per continuare a vivere sul posto.
MODI D’AZIONE
La manifestazione di rioccupazione, di cui il processo organizzativo risale a più di un anno, è stata
organizzata ben aldilà del movimento di occupazione della ZAD e della rete Reclaim the fields. In
testa a 30 000 persone, il blocco di autodifesa, incappucciato con dei carrelli-banderuole rinforzate,
avanzando agli slogan di “Li fregheremo,
siamo ancora qui, Vinci smamma, resistenza e sabotaggio” “la madrepatria ci vuole divorare, che
crepasse, che crepasse di fame”, “governare o lottare, si deve scegliere per forza, burocrate, rosa o
verde, ci fai
vomitare, smamma, smamma dal bocage verde di rabbia” è ben accolto, approvato e a volte
applaudito.
Si è parlato molto di barricate perché questa parola e quel che ci si vive apre la strada e il fantasma
a bloccare frontalmente gli oppressori armati e crea una zona “libera” che si organizza in modo
collettivo senza lo
Stato. Non è tanto il fatto d’aver speso ore con sassi e bottiglie in mano con altre persone valide
dietro a gomme e rotoli di fieno che è un passo importante nella lotta, ma piuttosto la
complementarità con altre attività. Sapere che allo stesso tempo, “noi” costruiamo delle capanne
collettive, “noi” alimentiamo il flash informazioni del sito internet,
“noi” mettiamo a posto il freeshop, “noi” portiamo il rifornimento cibo-bevande (calde) attraverso i
campi e i boschi, “noi” piratiamo la radio di VinciAutostrade per informare, per parlare della lotta
contro l’aeroporto, contro il TAV, contro le frontiere, la repressione e il carcere…
Potevamo percepire che la barricata, come difesa e arma della ZAD, “era dappertutto”. È opportuno
dunque smettere di mistificare la barricata in quanto tale, e di organizzarsi veramente per reggerle o
abbandonarle a
seconda delle “nostre” strategie.
È stata evocata più volte l’atmosfera di merda intorno delle barricata: parolacce sessiste, omofobe e
razziste agli sbirri, atmosfere virili da “coglioni grossi cosí” e il ciascuno per i cazzi suoi, che
rovinano molte cose. Quel che ha permesso agli sbirri di travestirsi in “zadisti” e arrestare alcune/i
di noi (ne riparleremo), non è tanto la loro buona e
audace organizzazione ma la nostra inabilità ad essere compatti, a parlarci e ad organizzarci
veramente, a lasciare il meno possibile le probabilità ad un sbirro d’intervenire accanto a noi,
perché non siamo dietro alle barricate solo perché “fa figo”. Delle barricate sono spontaneamente
messe su da un giorno all’altro, si trasformano in campo di
basket, palco all’aperto o ci si gioca a carte, si rimodellano in chicane per lasciare passare la gente
della zona con allestimento di un “p(r)edaggio Vinci” gratuito con area di parcheggio e discussione
per un minuto o un’ora. Un sacco di gente e di gruppi di orizzonti politici diversi ci si incontrano, ci
si organizzano, ci si confrontano. Forse non
c’è la fiducia necessaria per un “organizzazione collettiva e costante”, ma ogni barricata ogni giorno
tenta di difendersi con tecniche differenti. Molte persone hanno vissuto, vivono e vivranno le loro
prime esperienze di barricate campestri, di nubi di gas e di assalti della polizia, di rapporti
individuali rispetto alle attrezzature difensive e
offensive. La posta in gioco è trasmettere e scambiarsi delle pratiche di lotta, delle strategie di
protezione, di difesa e di attacco. (Vedi testo “texte Guérilla bocagère ? » su Indymedia Nantes).
In queste ultime settimane, è stato fatto un balzo avanti importante rispetto ai modi di azione.
Evidentemente, non è scontato nulla per il seguito e si tratterà di continuare a trasmetterli, a portarli
e a rinforzarli. Balzo avanti perché mesi fa nessuno immaginava che avremmo vissuto questo
superamento della classica divisione tra violenza/non-violenza. D’altronde, non c’è stato molto
bisogno di affrontare questo discorso.
Grazie ad un contesto di lotta ove è stata soppressa la mediazione sul terreno, si è materializzata
questa volontà di distruggere le categorie/classificazioni(etichette) che rivendicano, portano, o di
cui sono tacciate le persone.
Durante i due giorni di scontri del venerdí 23 e sabato 24 novembre, foresta di Rohanne e Chat-
teigne sono state difese contro la venuta dei militari da qualche decina di persone. I macchinari di
saccheggio entrano
nei boschi, scortati da centinaia di sbirri, che accerchiano le due zone. Mentre scoppiano i primi
scontri, decine poi centinaia di persone riescono a raggiungere la ZAD tramite le strade bloccate dai
furgoni. Molto rapidamente, delle persone, conoscendo i sentieri che permettono di raggiungere i
luoghi di scontro, accompagnano dei gruppi di decine di persone il più vicino possibile ai
macchinari. Determinazione, coraggio e solidarietà saranno le nostre principali armi. Gli sbirri sono
molestati senza tregua, con tutti i modi di azione, l’uno affianco all’altro.
Una catena umana tenta di forzare il cordone di poliziotti, dei cocktails molotov sono lanciati sui
macchinari, gli slogan “Polizia smamma, dal bocage”, “Vinci smamma, resistenza e sabotaggio”
rintronano da una foresta
all’altra, fuochi d’artificio e razzi di emergenza sparati a tiro teso illuminano l’oscurità che sta
calando. Sotto le nubi di lacrimogeni e di granate assordanti, tutti indietreggiano, escono dai boschi,
poi ci tornano. Alla sera di venerdì non ce l’avevano fatta a prendere le capanne, e quando si sono
ripiegati, avevano come minimo del fango sulle
loro visiere ed armature. L’indomani, durante l’ultimo assalto della polizia che ferirà molti di noi e
che ci farà abbandonare la foresta, nessuno dichiarerà che abbiamo “perso” a causa dei “violenti”
che hanno
scagliato “delle cose” o a causa dei “pacifisti” che non sono stati abbastanza decisi. Queste parole,
che alcuni/e vogliono definire come categorie, sono delle pratiche di lotta e dei modi di azioni,
adattabili e complementari a seconda del contesto.
Accusiamo il colpo insieme, e le nostre ferite, piuttosto che provocare paura, rinforzano la
determinazione. La sera stessa c’erano ancora decine di persone a molestare gli sbirri fino a notte
inoltrata. L’indomani, domenica, centinaia di persone si ritroveranno per fare un pic-nic alla Chat-
teigne, passando dalla foresta di Rohanne devastata il giorno prima, poi sorrideranno e risentiranno
la nostra forza all’arrivo di 40 trattori (e trattrici!) che si incateneranno senza data limite intorno alle
nuove capanne costruite.
Ci piacerebbe che i modi di azione evolvano verso maggior mezzi di difesa contro gli sbirri e verso
più attacchi contro i mezzi di realizzazione del progetto. Ma sono questi momenti, quando varie
forme di azioni si
fiancheggiano e si susseguono, che lasciano intravedere la continuità del movimento, la continuità
del rapporto di forza, la possibilità di escludere delle dissociazioni future senza per altro
compromettersi.
Per la difesa del Rosier, dei/lle contadini/e (“contadino/a anarchica o anarchico/a contadino/a, ma in
fondo chi se ne frega !”) arrivano di notte e scaricano 40 rotoli di fieno, una barricata in più fatta
insieme.”- Ci vediamo domani alle 5 per difenderla? –No, un po’ più tardi. Alle 5 ho la mungitura!”.
Una discussione sulla rioccupazione delle terre
agricole con i/le contadini/e “del posto”, si avvicina un elicottero della gendarmeria sul quale, a
qualche metro di distanza, vengono sparati dei razzi di emergenza, la discussione non si interrompe,
l’elicottero si allontana… I trattori circondano la casa, sosteniamo la volontà dei contadini/e di fare
una conferenza stampa, proveniente dalla redazione di un comunicato scritto insieme (vedi
comunicato del Rosier ), e sorridiamo quando decidiamo che la conferenza stampa sarà fatta dal
rimorchio di un trattore, mascherata, e che il/la “blackbloc” si presenterà come
“contadin-o-a” e che il/la “contadino/a” si presenterà come “blackbloc”. Questa situazione non la
viviamo come un compromesso rispetto ai mass media. Decidiamo pure che per difendere la casa,
non ci saranno conflittualità dirette riguardo ad essa. Ciò non impedirà la determinazione a restare
fino alla fine degli occupanti e dei contadini,
fino alla distruzione della casa, fino a farsi gassare e bucare le gomme dei trattori; e che
contemporaneamente sulle barricate, saranno sferrati attacchi contro gli sbirri.
Non sappiamo per quanto tempo questa resistenza allo sgombero della ZAD, e dunque di confronto,
durerà. Quel che è certo, è che questi vari modi di azione, e sopratutto la conoscenza reciproca degli
individui che le
portano, serviranno per il seguito. Le possibilità ne sono trasformate. Non siamo riusciti per adesso
a unire resistenza agli sgomberi e azioni contro il progresso dei lavori (gli scavi archeologici, per
esempio).
Dobbiamo rifletterci, perché si tratta di creare forme di organizzazione. Far circolare discretamente
l’informazione tramite delle conoscenze dirette d’ora in poi non circoscritte né a dei piccoli gruppi
sulla ZAD, né ad associazioni.
Chiamare anche a delle giornate di azione contro i lavori, oramai capaci di mobilitare parecchie
migliaia di persone. La pluralità dei modi di azione che si affiancano queste ultime settimane deve
essere portata anche
in questa direzione: bloccare gli accessi delle ditte che effettuano i lavori, e invadere le zone di
scavi per bloccare i lavori e mettere fuori uso i macchinari.
EVOLUZIONE STRATEGIA DELLA POLIZIA – REPRESSIONE
Questo movimento si rinforza e dobbiamo confrontarci all’evoluzione della strategia della polizia.
Quel che è certo, è che lo schieramento repressivo non è sproporzionato. Ci possiamo indignare ma
bisogna capire che lo Stato spiega la sua forza mano a mano che la nostra determinazione aumenta.
La repressione è inerente all’esistenza dello Stato, e colpisce quotidianamente nei quartieri, alle
frontiere, nelle guerre in tutto il mondo. Questa lotta contro lo Stato e una multinazionale inizia con
un “No all’aeroporto” ma non è dissociabile dalla lotta contro il mondo che
l’accompagna… È proprio questa coscienza, portata da alcun-i-e opponenti, che si diffonde a poco a
poco in questa lotta.
Quando la divisione tra « buoni/e » e « cattivi/e » opponenti martellata dai politici e ritrasmessa dai
media non funziona più, quando gli appelli alla calma non trovano risposta, allora calano le
maschere e lo Stato e suoi sbirri non si celano più dietro alla parvenza di promotori della pace
sociale. Noi combattiamo un progetto d’aeroporto difeso da dei gendarmi, dunque dei militari
addestrati per fare la guerra. Ne hanno le pratiche.
Durante la resistenza allo sgombero del Rosier il venerdí 23 novembre, i marmittoni, accompagnati
dai giornasbirri di France Télévison (Televisione statale francese), sono intervenuti di notte, a piedi,
aggirando le barricate e sventando i nostri dispositivi di allarme, per circondare la casa. Questo fu
l’inizio di una occupazione militare 24h/24h sulla ZAD. Il giorno stesso, mentre eravamo centinaia
a lottare fianco a fianco nei boschi e intorno alle barricate, allorché bloccavamo i loro macchinari, a
volte fino a farli indietreggiare, i marmittoni non esitavano più a
sparare nel mucchio, gasando a bruciapelo, sparando a tiro teso granate lacrimogene e assordanti e
mirando al viso con le flashball durante gli scontri. Qualche giorno dopo, è stato varcato un nuovo
limite il marted^
27 novembre quando, sulla strada D81 che porta al FarOuest, una decina di sbirri in borghese,
vestiti di nero e con indumenti impermeabili, s’infiltra, aiutando a disporre fil di ferro e filo spinato
sulla barricata, parlando poco tra di loro, e venti minuti dopo, ben coordinata con la carica dei
gendarmi mobili, se ne approfitta per arrestare cinque
di noi.
Così, dobbiamo quindi affrontare la giustizia, seconda faccia complementare della moneta
repressione. Queste ultime settimane sono state pronunciate, condanne di divieto di soggiorno per
due anni sul territorio
della Loira Atlantica o nei villaggi vicini alla ZAD, delle pene di carcere con la condizionale, e
durante l’ultima spedizione repressiva degli sbirri in borghese sulla barricata del FarOuest, cinque
mesi di reclusione.
Spargete la voce, la polizia è dappertutto, la giustizia è dappertutto, e la prigione non è oramai più
“esterna” al movimento. È quindi urgente e indispensabile rinforzare la solidarietà con chi di noi si
ritrova nelle
grinfie della giustizia e della prigione, alle prese con il loro ruolo di esclusione, d’incarcerazione e
di isolamento fisico. Dobbiamo fare un balzo avanti riguardo alla messa in pratica della nostra
autodifesa in campo (organizzazione e pratiche di “disarresto” intorno alle barricate per combattere
la presenza d’infiltrati, dispositivi contro le loro armi,
materiale medico, scudi e maschere anti-gas), della nostra autodifesa giuridica (conoscenza e
sviluppo degli strumenti anti-repressione portati dalla legal team), e della solidarietà concreta sin di
fronte ai commissariati di polizia, le sale dei tribunali, i dintorni delle prigioni e le loro gabbie di
tortura e di oblio. Dopo momenti forti di lotta, alla lunga, chi è incarcerato/a non deve sentirsi
solo/a. Una prima reazione necessaria è scrivergli in massa, riunirsi rumorosamente davanti ai muri
silenziosi della prigione, far esplodere dei fuochi d’artificio contro l’oscurità delle celle. E
naturalmente continuare a lottare contro l’aeroporto e il suo mondo, contro ciò per cui i nostri
compagni/e erano insieme a noi.
LA TAPPA DI UN MOVIMENTO
Si possono identificare cinque dinamiche generali che facevano già parte della lotta e di cui alcune
si sono rinforzate durante l’ultimo periodo :
– la resistenza agli sfratti dai luoghi che le forze repressive non sono riuscite ad espugnare, compresi
i nuovi luoghi ricostruiti.
– la rioccupazione e la definizione dei luoghi di organizzazione collettiva, tra “casa di lotta”,
“sistemazione, (sopravvivenza) vita quotidiana” e prospettive di occupazione collettiva delle terre
agricole e fattorie che devono essere lasciate al primo gennaio 2013.
– le azioni contro i lavori dell’aeroporto : scavi archeologici in corso, trasferimento degli animali ed
anfibi dalla ZAD verso l’esterno ( tramite costruzione di zone umide fuori dalla ZAD),
deforestazione prevista
durante l’inverno ma presumibilmente respinta di 6 mesi seguito alle dichiarazioni statali.
– portare la lotta delle nostre « realtà quotidiane » sulla ZAD, contro il sessismo, il vandalismo ed
altre oppressioni.
– le azioni di solidarietà decentralizzate contro l’aeroporto, si moltiplicano mano a mano che chi è
passato dalla ZAD ne riporta un pezzo “a casa”.
Quali sono le dinamiche più presenti, sulle quali concentrarsi più specificatamente, come portarle
tutte insieme allo stesso tempo?
Decine e decine di persone arrivano sulla zona. Alcun-i-e non hanno in mente il contesto di questa
lotta in modo molto chiaro; i legami con gli abitanti che continuano a rinforzarsi. Alcuni/e che,
secondo noi, hanno
un rapporto di consumo riguardo alle situazioni di conflitto, senza tentare di capire come si
inseriscono nella lotta.
Questo intenso periodo sulla ZAD dura da ormai più di 6 settimane. Le ricostruzioni e barricate per
proteggere i luoghi sono mezzi concreti per ostacolare l’espugnazione della zona da parte dello
Stato e la presenza
più o meno forte dei suoi sbirri in zona. Questa situazione provoca dei cambiamenti nella vita
quotidiana e organizzativa che alla lunga non sono sempre facili. Le perdite materiali (e emozionali)
sono grandi, gli/le
occupanti devono (ri)trovare i desideri, luoghi, collettivi, sensi, modi di rioccupare e di inserirsi in
questo movimento. Dove vivere? Per adesso rioccupare è un mezzo di azione che ostacola
concretamente il progetto;
continuare a qualunque costo? Quand’è che ci sarà la possibilità di pensarci veramente, in questi
momenti di difesa del luogo? Rinforzare i legami con i-le contadini/e e gli individui esterni,
collettivizzare le terre alimentari, portare delle offensive contro i lavori, non è sempre compatibile
con un periodo di confronto diretto contro l’occupazione
militare.
Nel medesimo tempo, avremmo voglia di protrarre sempre di più questa tappa, perché è
interessantissimo immaginare che più si prolunga questa rottura con la “normalità” di una lotta, più
ciò genera delle possibiltà
per organizzarsi meglio strategicamente e materialmente.
In più ciò apre orizzonti che non avevamo immaginato prima. Questo periodo di braccio di ferro
con lo Stato e i suoi cani è relativamente eccezionale, avremmo voglia di saggiarlo e spingerlo
sempre più in là. Ma la stanchezza ed il sentimento di essere un po’ sopraffatti/e dalla perdita di
tanti luoghi, danno anche voglia di passare ad un’altra tappa. A partire da gennaio, alcune procedure
d’esproprio giungono al loro termine, la determinazione di alcuni/e abitanti che resistono, può far si
che “passare ad un’altra tappa del movimento” sarà forse proseguire questa
… Tutto ciò a volte da le vertigini…non avevamo provato tale sensazione da parecchio tempo…e
quant’è bello!
ANDIAMO ?!!!
Vorremmo rinforzare l’invito lanciato dalla ZAD. Vorremmo formulare chiaramente la sensazione
che, malgrado la presenza di centinaia di persone, pochi dei compagni/e con cui lottiamo da
parecchi anni sono potuti venire per qualche settimana sulla ZAD. Questa occasione di potersi
organizzare “abbondantemente” contro un’occupazione militare, di coordinarsi tra gruppi di varie
città, di fare una pausa per discutere delle prospettive di questa lotta, del senso che potrebbe avere la
nostra presenza sul posto, ci è mancata.
Ci rendiamo conto che le possibilità di ritrovarsi laggiù ricompariranno regolarmente, e dovremo
essere tenaci e strategici/che nell’articolazione delle azioni decentralizzate contro l’aeroporto, e la
presenza sul posto agli appelli lanciati dalla ZAD. Uno degli obbiettivi a medio termine potrà
ugualmente essere di determinare “noi stessi” momenti d’intervento sulla ZAD, senza seguire il
ritmo imposto dalle offensive della polizia o la progressione dei lavori.
Un appuntamento importante per (ri)trovarsi è senza dubbio il week-end di incontro del 15 e 16
dicembre dei comitati e dei gruppi, di fatto in lotta, creati queste ultime settimane contro l’aeroporto
ovunque in Francia (Marcia).
Pensiamo dover rifletter al fatto del “far parte” del movimento, di non organizzare una “rete
parallela” di gruppi che non si confronteranno mai alla “realtà” sul posto della lotta.
Riflessione, sostanzialmente perché questa dinamica potrebbe ricomparire lì dove viviamo, contro
altri progetti di infrastrutture, contro l’urbanismo, contro la pianificazione delle nostre vite.
Risuona l’eco di un discorso portato ultimamente dalla ZAD : “Che sisparga lo spirito della ZAD
nelle metropoli!” Al che vorremmo rispondere con questo testo : “Che le nostre rabbie e le nostre
lotte sparse si ritrovino sulla ZAD!”
Contro questo mondo e il suo aeroporto,
PS : Potendo e dovendo partire siamo riusciti ad avere il tempo di riflettere e di impostare le
discussioni che abbiamo avuto sul posto per scrivere questo testo. A quelli/e che sono “laggiù”, vi
pensiamo tanto!
Speriamo che altri potranno parlare delle loro esperienze e analisi della lotta in corso, provocare
discussioni e riflessioni, per diffondere la rabbia e l’amore di questi momenti che abbiamo vissuto.
PS2 : vincere la lotta ? per alcuni/e è già il caso, per altri la vittoria è in corso, per altri è prossima,
per altri ancora, e sopratutto, si continua.
Delle spine del Rosier.