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“Occorre un distinguo sul concetto stesso di Violenza. Questa stessa
parola può essere utilizzata per indicare atteggiamenti opposti, uno
con una spinta liberatoria, e l’altro con una spinta oppressiva.
Vogliamo riappropiarci della violenza per distruggere l’esistente oppressore, per ribaltare le strutture di potere e le autorità che le
riperpetuano e proteggono. Attaccare con aggressività chi vorrebbe
sottometterci e assimilarci fa parte delle pratiche che rivendichiamo
come nostre e di cui vorremmo una molteplicazione.
Più spesso di quanto non ci piacerebbe ammettere, però, tra i
nostri compagni e tra le nostre compagne la violenza cessa di essere
strumento liberatorio comune, riprende il percorso verticale e diventa di nuovo oppressione, torna a essere strumento di mantenimento dell’ordine gerarchico. Allora il più vecchio esercita il potere sul più giovane, chi ha più esperienza impone a chi ne ha meno, chi è più forte a chi lo è meno, ricreando come in uno specchio le relazioni dell’esistente che si dice di voler sovvertire. Si ricalca la violenza di stato, l’imposizione normativa, l’imposizione del proprio volere sulle
libere scelte di altre persone. Questo genere di violenza è quella che vogliamo combattere per sradicarla e liberarcene.”