Violenza sessuale negli ambienti anarchici: Critiche e suggerimenti sui modi di affrontarla [ITA]

INTRODUZIONE

A quelle persone anarchiche che passeranno davanti a questo opuscolo non degnandolo neanche di uno sguardo, che ne leggeranno il titolo distrattamente per passare subito ad altro, che penseranno che non le riguarda perché su queste cose hanno già capito tutto o se ne parla fin troppo togliendo spazio ad altre priorità… vorrei dire che invece riguarda proprio loro. Che è anche l’indifferenza e la superficialità con cui viene affrontata (o non affrontata) in ambito anarchico la questione delle violenze sessuali che avvengono tra di noi che permette che queste continuino ad esistere. Il modo in cui reagiamo a queste violenze è determinante, e demarca nette linee di confine tra chi sceglie di supportare il patriarcato e le gerarchie di potere esistenti, e chi decide di solidarizzare con chi ha vissuto le violenze e contrastare con ogni mezzo la cultura dello stupro. Rapporti anche longevi tra anarchici/e si sono rotti proprio nella divergenza tra queste due strade.

Il primo testo di questa raccolta, che fa riferimento al contesto anarchico statunitense, inizia con un’affermazione pesante: “Sembra che nell’ambiente anarchico, ovunque ci si volti, ci sia una comunità devastata dallo stupro, dalla violenza sessuale e dai maltrattamenti”. Molte persone penseranno che si tratti di un’esagerazione. Ma una volta che alcuni tappi iniziano a saltare, quando finalmente si scoperchia il vaso di Pandora, il flusso comincia a scorrere e non si arresta più. Anche dalle nostre parti negli ultimi anni stanno emergendo sempre più frequentemente storie di stupri, violenze sessuali, molestie, abusi nelle relazioni di coppia, tra persone che si definiscono anarchiche. Non penso che rispetto ad alcuni anni fa le violenze effettive siano aumentate, ma che sia aumentato il numero di persone che sta trovando il coraggio di raccontare la propria storia, di alzare la voce, di non lasciare che tutto questo passi e continui nel silenzio. Sono aumentate anche le persone che credono alle persone sopravvissute alla violenza e che le sostengono, portando avanti insieme a loro la battaglia perché queste questioni siano affrontate seriamente e soprattutto perché sia chiaro da che parte sta la solidarietà.

Nei testi che seguono si parla di “comunità” o “movimento” anarchico in riferimento alle risposte che un certo tipo di ambiente ha prodotto rispetto alle violenze sessuali. A mio parere una comunità o un movimento, per definirsi tale, dovrebbe condividere non solo un’analisi politica, ma anche alcuni valori di base che determinano le relazioni tra gli individui che ne fanno parte, come il rispetto, la fiducia e la solidarietà. Valori che vengono brutalmente disattesi e traditi in ogni episodio di violenza sessista. Ma la solidarietà e la fiducia tra persone che lottano contro ogni forma di potere vengono disattese anche ogni qualvolta, in seguito a queste violenze, alcune persone scelgono di schierarsi più con l’autore delle violenze che con chi le ha vissute, oppure di non prendere affatto posizione perché è più comodo non farlo. Non ha senso parlare di comunità anarchica finché la parola solidarietà non acquisirà un significato reale, e finché non si affronteranno collettivamente le radici delle violenze sessiste e della cultura dello stupro che stanno avvelenando le nostre relazioni ogni giorno.

Spesso quando una persona che ha vissuto una violenza trova la forza di parlarne apertamente con quelli/e che ritiene le proprie compagne e i propri compagni anarchici, la solidarietà non è affatto la risposta più scontata. Vediamo più spesso entrare in atto una serie di meccanismi di risposta che ricalcano fedelmente quelli della società sessista e patriarcale dominante, specialmente se la persona che viene chiamata in causa per il suo comportamento molesto o violento è un “compagno” con una certa reputazione all’interno del movimento. “Ma non è che lei non ha espresso il suo rifiuto in maniera abbastanza decisa?”. “Perché ha tirato fuori questa storia soltanto adesso?”. “E’ una facile, poi ci si stupisce che accadono queste cose”. “Quello che lui ha fatto non ci sta ma lei esagera, è ipersensibile, forse perché è femminista…”. “Lui lo conosciamo, quando è sbronzo diventa un coglione, ma non farebbe del male a una mosca”. “E’ un bravo compagno, non l’ha fatto apposta, deve avere frainteso”. “Ho parlato con lui, mi ha chiarito com’è andata, per me è tutto a posto…” Quante volte abbiamo sentito frasi del genere? Abbiamo mai pensato al fatto che è proprio questo tipo di risposte a permettere a chi ha commesso le violenze di mantenere il proprio potere togliendo allo stesso tempo forza e supporto alla persona sopravvissuta?

La prima parte di questo opuscolo mostra, attraverso esempi concreti, quali sono quelle reazioni da parte del “movimento” anarchico alle violenze sessiste che rafforzano anziché contrastare la cultura dello stupro e che ne permettono la riproduzione. Discorsi e azioni portati avanti non sempre con questo intento, non sempre consapevolmente, ma che hanno comunque l’effetto di creare un terreno in cui le violenze possono continuare a proliferare indisturbate e in cui chi se le vive è portata/o a tenere la bocca chiusa, per non subire ulteriori violenze emotive da parte dei suoi presunti compagni e compagne. Dinamiche agite spesso per la mancanza di strumenti utili per analizzare le dinamiche patriarcali alla radice delle violenze sessiste, e che portano a ripetere a pappagallo i discorsi della società dominante. Ma la mancanza di strumenti può essere colmata in ogni momento se c’è la volontà, e non può diventare l’ennesima giustificazione per continuare a disinteressarsi di quello che ci accade intorno o per continuare a fare discorsi di merda. Evocare la mancanza di strumenti sta diventando una facile scusa per non prendere mai una posizione, e continuare a non interrogare le proprie posizioni di potere e i propri privilegi all’interno della società e dello stesso ambiente anarchico.

L’attacco rabbioso, giusto, della prima parte di questo opuscolo a tutte quelle dinamiche del movimento anarchico che alimentano la cultura dello stupro è compensato, nella seconda parte, da una raccolta di consigli su come gestire le situazioni di violenza sessista in modo da porre al centro i bisogni della persona sopravvissuta. Questi consigli sono diretti a chi ha vissuto una violenza, a chi vuole supportare la persona che ha vissuto una violenza, agli autori di violenze e a chi vuole aiutare questi ultimi in percorsi di presa di responsabilità.

C’è ancora molto lavoro da fare per imparare ad affrontare questo tipo di situazioni con modalità che siano di supporto alle persone sopravvissute e che allo stesso tempo rafforzino, o meglio, comincino a porre le fondamenta per una comunità anarchica. Questo opuscolo è soltanto un primo spunto che speriamo possa dare vita a ulteriori riflessioni, dibattiti, approfondimenti.

Violenza sessuale negli ambienti anarchici

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