da non-fides.fr
«La differenza fra le persone comuni ed i professori universitari consiste nel fatto che questi ultimi sono arrivati all’ignoranza dopo lunghi e difficili studi.» (Oscar Wilde – Aforismi).
C’è qualcosa di profondamente corrotto nel regno del pensiero radicale alla francese. Non utilizzo il termine “corrotto” in senso morale, ma nel senso delle merci “andate a male” dal momento della loro produzione. Ovviamente, il fenomeno non attiene all’oggi e lo spettacolo politico-culturale che offre la place de la République ne è solo la manifestazione più recente. Nel supermercato delle ideologie che in quella piazza ha montato i suoi stand, il postmodernismo occupa il posto principale. In particolare il “deleuzismo”, il quale, in maniera del tutto evidente, costituisce uno dei denominatori comuni al cittadinismo mille volte riciclato e aggiornato che regna ai piedi della statua della dea tutelare dello Stato esagonale, e che punteggia i discorsi dei politici alla moda, a cominciare da Lordon. Vista la mitologia favorevole che ha permesso di nobilitare il deleuzismo, di attribuirgli il titolo di pensiero sovversivo, e visto il ruolo che gioca attualmente, vale la pena di tornare brevemente sul percorso di Deleuze e dei suoi accoliti, senza pretendere esaustività ma mostrando quali sono state le sue prese di posizione durante i periodi chiave della storia con cui si sono confrontati. Deleuze fa parte di quei personaggi che, all’indomani del maggio 68, avevano la pretesa di essere dei filosofi impegnati in attività originali e di aprire dei percorsi di riflessione e di azione che andavano oltre i confini tracciati e bloccati dal militantismo tradizionale. Benché le sue prese di posizione non esauriscano la questione dell’analisi critica della sua “cassetta degli attrezzi” concettuale, le prime dipendono dalla seconda e in molti casi ne rivelano il senso. Cosa che i riciclatori di oggi preferiscono occultare.
Il ghetto universitario di Vincennes, prototipo di quello che attualmente si trova a Saint-Denis [Università Parigi VIII], venne istituito dal potere gollista per neutralizzare i tentativi di rivolta che scuotevano il mondo civilizzato delle facoltà e per offrire dei trapuntini a degli ideologhi in qualche modo atipici, quanto meno rispetto ai canoni che regolavano allora le attività dei cenacoli universitari. A Vincennes servivano quindi coloro che sarebbero diventati i messaggeri del postmodernismo: i Foucault, i Deleuze ed i Guattari, solo per nominare i più conosciuti, ed i più riconosciuti nell’ambiente della militanza polimorfica apparsa in seguito al maggio 68. Deleuze, fino ad allora un semplice storico della filosofia, partecipa quindi, dentro la guaina di contestatore in blue jeans che rifiuta i corsi magistrali, all’operazione di recupero.
Può dispiegare senza freni la sua concezione della “filosofia impegnata”, riassunta in “Che cos’è la filosofia”, opuscolo scritto insieme a Guattari: “I concetti, non sono affatto qualcosa di dato. O meglio, i concetti non sono la stessa cosa che il pensiero: si può benissimo pensare senza concetto e anche tutti quelli che non fanno filosofia, io credo che pensino, che pensino pienamente, ma che non pensino per concetti – se accettate l’idea che i concetti siano il termine di attività o delle creazioni originali. Direi piuttosto che i concetti siano dei sistemi di singolarità prelevati dalla cima del flusso di pensieri. Il filosofo, è qualcuno che fabbrica dei concetti. Questo è intellettuale? Credo di no.”